Sfollamenti e migrazioni in Medio Oriente
Il 17 dicembre 2010, un giovane venditore di frutta e verdura di Sidi Bouzid, in Tunisia, si è dato fuoco dopo che la polizia aveva confiscato la sua merce. Sono seguite diverse settimane di manifestazioni, guidate per lo più da giovani, contro la corruzione, la disoccupazione, la disuguaglianza e la repressione della polizia. L’ondata di proteste si è poi diffusa in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) ed è divenuta nota come la Primavera araba.
Dieci anni dopo, diversi Paesi della regione continuano ad essere tormentati. Molti, tra i quali lo Yemen, la Libia e la Siria sono devastati da quasi un decennio di conflitti, che si sovrappongono a quelli oramai storici come quello tra Israele e la Palestina, tra Stati, etnie e religioni. È una crisi umanitaria che si protrae nel tempo e che è caratterizzata da alti livelli di sfollamento interno e di flussi di rifugiati.
Quella che sembrava essere una speranza per un futuro migliore si è rapidamente trasformata in un incubo per le persone che sono state costrette a sfollare dalle proprie terre e all’esilio, che vivono tuttora in condizioni di disagio, in campi per profughi e in aree urbane informali, conoscendo solo tensioni e vivendo in uno stato di stress costante.
La continua instabilità, i conflitti e la violenza caratterizzano da lungo tempo Paesi come l’Iraq, la Terra Santa e il Libano a causa di interventi stranieri, tensioni etniche e religiose localizzate e di una situazione generale di volatilità politica.
Non sono solo l’insicurezza e i diversi conflitti ad aver reso gli sfollamenti ciclici e prolungati negli ultimi anni. Anche le catastrofi naturali, spesso trascurate, innescano nuovi spostamenti umani e contribuiscono a renderli protratti nel tempo. In Paesi come la Siria e lo Yemen, le inondazioni, le tempeste e le rigide condizioni invernali spingono continuamente a abbandonare i luoghi natii, esacerbando le vulnerabilità delle popolazioni e intrappolandole nella povertà.
La realtà geoclimatica della regione MENA è complessa. I Paesi sono altamente inclini alle catastrofi, compresi i processi a lenta insorgenza come la desertificazione e la siccità, ma anche a rischi improvvisi come inondazioni e tempeste. La loro capacità di far fronte a questi eventi è gravemente diminuita da anni di violenza che hanno danneggiato o distrutto le loro infrastrutture e hanno eroso la loro capacità di prepararsi e di rispondere adeguatamente.
I disastri hanno provocato almeno 1,5 milioni di nuovi sfollati interni nella regione nell’ultimo decennio, più della metà dei quali a causa di inondazioni. La regione è per lo più arida, e quando piove la scarsa capacità di assorbimento del suolo e la mancanza di sistemi di drenaggio adeguati spesso causano alluvioni fluviali improvvise e inondazioni urbane. Il modello di rischio di sfollamenti da calamità elaborato dal Centro di monitoraggio su questo fenomeno suggerisce che quasi 400.000 persone nella Regione MENA potrebbero aver abbandonato le proprie terre a causa di inondazioni fluviali in un dato anno.
Lo sfollamento forzato è un comune denominatore ed uno degli impatti più visibili e negativi delle crisi che hanno colpito l’intera Regione. In alcuni Paesi l’entità degli sfollamenti interni e transfrontalieri è senza precedenti. Gli sconvolgimenti politici hanno portato a guerre civili che hanno provocato una media di 2,9 milioni di nuovi sfollati interni all’anno, un terzo della cifra globale, tra il 2010 e il 2019.
Il fallimento degli accordi di pace e la rottura dei cessate il fuoco hanno esteso la violenza, rendendo lo sfollamento della Regione tra i più prolungati al mondo. Circa 12,4 milioni di persone vivevano sfollati a causa di conflitti e violenze in tutta la Regione alla fine del 2019, rendendola la seconda area del mondo più colpita a livello globale dopo l’Africa sub-sahariana. Oltre 7,8 milioni di persone hanno cercato rifugio all’estero, come rifugiati o richiedenti asilo. Il numero di sfollati è pari, attualmente, a più del 4% della popolazione della Regione; metà della popolazione siriana, prima della guerra, è stata sfollata almeno una volta.
I conflitti e la violenza hanno annullato i guadagni in termini di sviluppo che alcuni Paesi avevano raggiunto negli anni Novanta e Duemila. Gli impatti economici dello sfollamento nella Regione sono tra i più pesanti al mondo. Si stima che il costo medio per persona per un anno di sfollamento sia di 623 dollari, quasi il doppio della media globale di 390 dollari. Questo equivale a un costo economico complessivo di quasi 8 miliardi di dollari, un enorme onere aggiuntivo per i governi che già lottano per avere la capacità di fornire servizi di base minimi e mantenere la stabilità.
La riduzione del rischio di disastri, lo sviluppo sostenibile e la costruzione della pace a causa della persistente insicurezza sono imperativi politici. Intere famiglie e comunità hanno visto le loro vite sconvolte dalla guerra e dallo sfollamento, con donne e bambini colpiti in modo sproporzionato. Circa 6,3 milioni di donne e ragazze vivevano in condizioni di sfollamento interno nella regione MENA alla fine del 2019, e circa 800.000 avevano più di 60 anni.
I problemi di sicurezza e le limitazioni agli spostamenti continuano a impedire agli sfollati interni di raggiungere soluzioni durature. La distruzione diffusa delle infrastrutture urbane e la presenza di ordigni inesplosi impedisce i rientri. Questo ha frenato la riattivazione delle economie locali. Gli sfollati giocano un ruolo chiave in questo processo, perché solo sostenendoli nel raggiungere soluzioni durature, i governi e la comunità internazionale saranno in grado di riavviare l’attività economica nei centri urbani distrutti, di ricostruire il tessuto sociale di comunità annientate e di raggiungere la prosperità e benessere.
Gli impatti negativi dello sfollamento sono diventati il motore di ulteriori instabilità e rischi. Gli alti livelli di sfollamento mettono in dubbio il successo delle misure di prevenzione e di risposta alle crisi. La mancanza di coerenza e coordinamento tra le iniziative umanitarie, di sviluppo e di riduzione del rischio di disastri, finanziamenti a breve termine e limitati, e la mancanza di dati di base sicuri per valutare la reale portata e l’entità dello sfollamento interno sono tra i fattori che devono essere affrontati in via prioritaria.
Tuttavia, non tutto è negativo. Esistono anche buone pratiche nell’area che possono essere estrapolate e adattate ai diversi contesti. Queste includono lo sviluppo di sistemi di raccolta dati e piattaforme più affidabili per la collaborazione e lo scambio di informazioni; l’apertura del dialogo politico e lo sviluppo di politiche per soluzioni a lungo termine che hanno aiutato gli sfollati interni a porre fine alla loro situazione. Alcune di queste iniziative sono state guidate dai governi dei paesi colpiti, aprendo così una finestra di opportunità per ripensare e migliorare gli attuali metodi di lavoro.
Molte di queste buone pratiche sono sorte dalle organizzazioni locali della società civile, tra cui quelle che la Campagna “La pace va oltre” cerca di rafforzare. Qui sono indicati diversi progetti che sostengono la capacità degli sfollati e dei migranti di affrontare la loro situazione, soprattutto dei più vulnerabili, donne e ragazze, giovani, in Libano, Siria, Giordania, Terra Santa, Iraq e Turchia.
La costruzione della pace e la riduzione del rischio di catastrofi sono prerequisiti per la stabilità della Regione e creare soluzioni durature per sfollati e migranti: le nostre organizzazioni sono attive nel creare le condizioni necessarie per questa speranza, artigiani di pace.
La fonte di questo resoconto e dei dati è di Internal Displacement Monitoring Centre