Uscire dalla pandemia: una sfida per chi è più fragile, una opportunità per chi può coglierla
di Massimo Pallottino, Caritas Italiana
Siamo appena entrati, almeno nell’emisfero Nord del Pianeta, nel primo ‘inverno del Corona’ virus ancora indifesi rispetto all’aggressività di questa malattia; su di essa, per indagarne cause e soprattutto rimedi, si è dispiegato uno sforzo di ricerca mai visto prima nella storia umana. L’enorme attenzione è proporzionale all’impatto di questa pandemia, che si è abbattuta, e continua ad abbattersi soprattutto sulle persone e i gruppi sociali più fragili, ma che non risparmia certo i ricchi e i potenti: implicazioni mediche, psicologiche, sociali, economiche politiche, ancora amplificate nei paesi che affrontano crisi o emergenze umanitarie. Offrire una risposta rapida ed efficace, garantendo nel contempo che l’assistenza necessaria raggiunga i più bisognosi, è fondamentale.
Oltre alle implicazioni della pandemia – gravissime – sul piano sociale ed economico, continuano a porsi problematiche estremamente preoccupanti sotto il profilo medico-sanitario. Comincia a essere più chiaro il panorama delle scelte terapeutiche possibili: molte opzioni di cura che apparivano promettenti, sulle quali peraltro sono state già mobilitate ingenti risorse (come ad esempio i farmaci antivirali già utilizzati per l’Ebola), si sono rivelati di scarsa efficacia; mentre rimangono alla portata di una esigua minoranza le alternative più promettenti, tra cui quelle che si sono rivelate così efficaci per il presidente USA Donald Trump, il cui trattamento anti COVID-19 sarebbe costato, secondo il New York Times, almeno 100.000 USD.
Al di là delle cure sperimentali e costosissime. è stato proprio sull’accesso alle cure ordinarie che in molti paesi del mondo si è giocata una vera e propria ‘selezione sociale’. Sempre negli Stati Uniti, in città come Chicago, gli afroamericani rappresentano solo il 30% della popolazione, ma costituiscono invece più del 50% dei casi e circa il 70% dei decessi per COVID-19.
Senza contare le conseguenze sulla salute mentale, già visibili su coloro che appartengono ai gruppi sociali più colpiti dalle conseguenze socio-economiche della pandemia[1].
Quanto si è osservato negli Stati Uniti si riproduce in modo forse meno visibile ma ancora più doloroso nei paesi del ‘sud globale’, dove a una diffusione ufficiale statisticamente meno importante della pandemia si contrappongono una maggiore incertezza sulle stime quantitative e la preoccupazione di sistemi sanitari e di protezione oggettivamente più fragili. In molti paesi una pressione anche moderata sui sistemi sanitari mette in drammatica evidenza la mancanza di mezzi per curare chi presenta sintomi: la carenza di respiratori, di ossigeno, di personale rappresenta in molti paesi un collo di bottiglia insuperabile.
Appunto, non si limita a questo l’impatto atteso in termini sanitari. Secondo uno studio dell’OMS, la pandemia sta causando una crisi massiccia dei servizi di salute mentale, neurologica e di cura delle dipendenze da sostanze, fino, in molti casi, alla completa interruzione dei servizi. I motivi di questa crisi vanno dal numero insufficiente o il reimpiego di operatori sanitari in servizi collegati alla risposta COVID-19, l’uso di strutture per la salute mentale come strutture di quarantena o trattamento COVID-19, la fornitura insufficiente dei dispositivi di protezione individuale. Questo rapporto sullo stato dei servizi arriva assieme alla crescente evidenza che la pandemia COVID-19 sta avendo effetti molto gravi sulla salute mentale e sul benessere delle popolazioni di tutto il mondo. Queste evidenze sono coerenti con quanto avvenuto in eventi passati di natura analoga.
Ad esempio, ricerche compiute presso comunità colpite da focolai di malattia da virus Ebola hanno rivelato panico e ansia diffusi, depressione derivante dalla morte improvvisa di amici, parenti e colleghi e stigma ed esclusione sociale dei sopravvissuti.
Una meta-analisi ha rilevato che la depressione, l’ansia, la memoria alterata e l’insonnia erano presenti nel 33-42% dei pazienti ricoverati in ospedale per sindrome respiratoria acuta grave o sindrome respiratoria mediorientale e che in alcuni casi questi effetti continuavano oltre il recupero sotto il profilo fisico[2].
L’impatto sanitario è destinato a durare anche in funzione della maggiore o minore velocità con la quale si diffonderà il contagio. La stessa ‘corsa al vaccino’, elemento fondamentale in questa lotta, scatenatasi già da diversi mesi, potrebbe non concludersi con la vittoria di tutti.
Come notano Dentico e Garattini[3], i paesi ricchi, che rappresentano il 13% della popolazione mondiale si sono accaparrati già più di 2 miliardi di dosi dei futuri vaccini e l’accesso a questi ultimi sembra essere tutt’altro che vicino, soprattutto per i cittadini del sud globale. Tuttavia perché, nonostante le immani risorse messe a disposizione, si rischia un accesso così diseguale a quello che al momento attuale sembra essere l’unico modo per arginare la diffusione della malattia nel prossimo futuro?
Questo perché ha un nome e questo nome è ‘TRIPS’: il trattato su Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, vale a dire il trattato internazionale che regola i brevetti e la proprietà intellettuale e che potrebbe rendere ‘privata’ la proprietà dei vaccini COVID-19 che verranno prodotti anche grazie alle ingenti risorse messe a disposizione dal settore pubblico.
Il ruolo dell’attuale regime sulla proprietà intellettuale come motore di concentrazione del potere economico è ben noto anche nell’ambito del Forum Disuguaglianze e Diversità che proprio attorno alla riforma dell’accordo TRIPS ha costruito una delle sue 15 proposte concrete per affrontare in maniera efficace le eccessive e crescenti disuguaglianze.
Non c’è dubbio che il regime di proprietà intellettuale abbia già provocato danni gravissimi sia ai paesi più poveri, per quanto riguarda patologie come HIV/AIDS, malaria, polmonite; ma anche nei paesi più ricchi e anche in Italia, in cui sistema sanitario si trova, ad esempio, a spendere cifre esorbitanti per rendere disponibile a chi ne ha bisogno la nuova terapia contro l’epatite C. Si tratta di cifre che garantiscono guadagni che, in molti casi, vanno molto al di là della giusta remunerazione degli investimenti effettuati. Soprattutto in un caso come questo, nel quale l’investimento è stato effettuato per la parte assolutamente preponderante dalla comunità globale, cioè da tutti noi!
Esiste una iniziativa di India e Sudafrica per ottenere una deroga ai diritti di proprietà intellettuale in riferimento a farmaci, vaccini, mezzi diagnostici, dispositivi di protezione personale, tutte le tecnologie necessarie a fare fronte alla pandemia, fintantoché non sia stata raggiunta l’immunità. È una proposta ragionevole sulla quale c’è l’appoggio di molti paesi, di organizzazioni internazionali, di personalità ed esperti e, anche, da parte dalla Santa Sede.
Si oppongono però tutti i paesi industrializzati, proprio quelli che hanno messo a disposizione risorse ingentissime, a quel che sembra senza ottenere nessuna garanzia da parte delle società private impegnate nella ricerca, né sui prezzi, né sull’uso o sul trasferimento delle tecnologie. La ricerca anche privata svolge un ruolo importantissimo e meritorio; non c’è dubbio però che enormi investimenti pubblici rischiano attualmente di non tradursi in un bene realmente pubblico, ma di rappresentare una opportunità esclusiva per alcuni; nel dialogo con i quali le istituzioni pubbliche, in particolare in questo caso europee, si sono dimostrate forse eccessivamente accomodanti ed arrendevoli.
La salute, in questo particolarissimo momento della storia, è veramente un diritto di ogni persona e di tutti: il diritto di ogni persona che ha bisogno di ricevere cura e protezione, che coincide con il bisogno della collettività di raggiungere quel livello di immunità di gregge in grado di mantenere le persone più fragili al riparo del contagio e di interromperne in ogni caso la catena di diffusione.
Questa situazione è emblematica della connessione tra temi apparentemente astratti e complessi – come i regimi internazionali di regolazione dei diritti di proprietà intellettuale – e la quotidianità e i diritti di tutti e tutte.
La cura dei più deboli, la possibilità di offrire loro una efficace difesa dalla pandemia passa in questo caso anche per il cambiamento di regole di cui tutti paghiamo il costo, ma che proprio i più deboli pagheranno in modo ancora una volta sproporzionato.
[1] COVID-19 Devastation of African American Families