Il COVID-19 e la felicità
di Andrea Stocchiero, FOCSIV
Il COVID-19 evidentemente ha avuto ed ha effetti impressionanti sul benessere delle persone, delle comunità e dei paesi. Ma il benessere può essere difeso con la vita delle persone se esiste una forte coesione sociale, fiducia e consenso tra la popolazione e i governi e nella capacità di intervenire tempestivamente e in modo decisivo. Questo è il motivo per cui in alcuni paesi, soprattutto dell’Asia orientale, si sono comportati meglio di altri. Sono questo i principali messaggi che emergono da un importante Rapporto su COVID-19 e felicità.
A livello internazionale vi sono organizzazioni e università che da anni cercano di misurare l’impatto di eventi e politiche sulle persone. La consapevolezza che la misura del prodotto interno lordo (PIL) è assolutamente insufficiente nel capire se la dignità umana è protetta e valorizzata, è oramai diffusa, anche se poi nel discorso quotidiano i nostri politici continuano a riferirsi innanzitutto al PIL.
I nuovi grandi concetti più integrati e olistici sono quelli dello sviluppo sostenibile, del benessere equo e sostenibile e anche della felicità, pur con tutte le difficoltà di poter misurare uno stato emotivo e sentimentale delle persone e di poterlo comparare tra individui diversi, in culture differenti.
Sono numerose, già da ora, le stime dell’impatto del COVID-19 sul PIL, mentre sono in corso nuove analisi sul suo effetto sul benessere delle persone. In tal senso è stato recentemente presentato il IX Rapporto Mondiale sulla Felicità del 2021 (World Happiness Report 2021 | The World Happiness Report), al quale hanno lavorato un gruppo di esperti internazionali legati a vario titolo alle Nazioni Unite e che trae molti dati dal Gallup World Poll, sondaggio di opinione condotto a livello mondiale.
L’obiettivo del Rapporto è duplice: in primo luogo si concentra sugli effetti del COVID-19 sulla struttura e la qualità della vita delle persone e in secondo luogo descrive e valuta come i governi di tutto il mondo hanno affrontato la pandemia. In particolare, si cerca di spiegare i motivi per i quali alcuni paesi hanno reagito meglio di altri.
I dati mostrano come l’effetto peggiore della pandemia siano stati i 2 milioni di morti per COVID-19 nel 2020. Un aumento di quasi il 4% del numero annuale di morti in tutto il mondo, che di per sé rappresenta una grave perdita di benessere sociale. Oltre ai morti molte persone hanno subito isolamenti sociali, hanno avuto una maggiore insicurezza economica, hanno sofferto di ansia e malattie mentali. Il COVID-19 ha sconvolto ogni aspetto della vita per intere società, indebolendo il benessere.
Nonostante questi impatti il sondaggio del Gallup World Poll indica come vi sia stata una sorprendente capacità di resilienza nel modo nel quale le persone hanno valutato la loro vita in generale, nonostante il COVID-19. Dato questo che è stato confermato per l’Europa dai sondaggi dell’Eurobarometro e da diverse indagini nazionali.
La classifica dei paesi secondo il grado di felicità o benessere non è cambiata di molto a seguito del COVID-19: i primi paesi rimangono gli stessi- Finlandia, Islanda, Danimarca, Svizzera, Olanda, mentre l’Italia è scivolata dal 25simo al 28simo posto. Mentre i paesi con meno benessere sono stati: Afghanistan, Zimbabwe, Ruanda, Botswana, Lesotho, Malawi.
Il benessere è calcolato su un insieme di indici relativi al PIL pro-capite, al sostegno sociale, all’aspettativa di vita sana, alla libertà di poter fare delle scelte, alla generosità, alla percezione di corruzione e alla distopia.
E’ evidente come il COVID-19 abbia avuto effetto su tutti questi indici, ma non ha modificato sostanzialmente la classifica. Il virus si è diffuso in tutto il mondo, tuttavia in modo diverso e in contesti molto differenti, mettendo in secondo piano i paesi in guerra, dove molti giovani, la povertà e l’esclusione sono diffuse e, semmai, esacerbando le condizioni di vita già difficili o facendolo emergere come rischio principale nei paesi più ricchi ed anziani, dove i governi e le popolazioni hanno reagito con capacità di risposta diverse.
Le emozioni sono state più volubili, più negative nei periodi di isolamento sociale, per poi avere un buon recupero. A livello mondiale è aumentato di circa il 10% il numero di persone che hanno detto di essere preoccupate o tristi il giorno precedente.
La fiducia e la possibilità di poter contare sugli altri sono due aspetti che contano molto nella valutazione del grado di benessere, specialmente di fronte alle crisi. Ad esempio, il dato che si rileva sul “sentire che il portafoglio perso sarebbe stato restituito se trovato da un poliziotto, da un vicino o da uno sconosciuto” è stimato essere più importante per la felicità di quello sul reddito guadagnato, sulla disoccupazione e sui principali rischi per la salute, come si evidenzia nel grafico seguente tratto dallo stesso Rapporto.
La fiducia è un valore ancora più importante per spiegare le grandi differenze internazionali esistenti nei tassi di COVID-19, che sono stati sostanzialmente più alti nelle Americhe e in Europa, meno in Asia orientale, australe ed in Africa. Queste differenze sono state quasi per la metà dovute alle differenze nella struttura per età delle popolazioni – il virus è molto più letale per gli anziani – a quanto è stato esposto ogni paese all’inizio della pandemia, al gran numero di infezioni esistenti nei paesi limitrofi.
Quali che siano state le circostanze iniziali, la strategia più efficace per controllare il COVID-19 è stata quella di portare la trasmissione comunitaria a zero e mantenerla in questo stato. I paesi che hanno adottato questa strategia hanno avuto tassi di mortalità vicini allo zero, sono stati in grado di evitare seconde ondate mortali e hanno concluso l’anno con meno perdite di reddito e tassi di mortalità più bassi.
Le strategie di successo hanno tenuto conto di:
- la fiducia nelle istituzioni pubbliche. Istituzioni pubbliche fidate hanno avuto più probabilità di scegliere la strategia giusta con il sostegno determinante delle loro popolazioni. Ad esempio, il tasso di mortalità del Brasile era 93 su 100.000, molto superiore a quello di Singapore, e questa differenza, più di un terzo, può essere spiegata con la diversa fiducia pubblica.
- La disuguaglianza di reddito, che agisce in parte come nel caso della fiducia sociale, spiega il 20% della differenza nei tassi di mortalità tra Danimarca e il Messico. La fiducia sociale è associata a molte meno morti.
Altri due elementi correlati a una migliore strategia sono riferiti a sistemi sanitari che hanno acquisito le lezioni relative alla SARS e da altre pandemie precedenti e alla presenza di un capo del governo donna.
Un elemento importante nella politica nell’affrontare il COVID-19 è stato il distacco fisico o l’autoisolamento, questo ha comportato una sfida significativa per i legami sociali tra le persone, legami che sono vitali per la loro felicità.
Alle persone la sensazione di connessione con gli altri è diminuita riducendo il loro benessere, così come per le persone alle quali il senso di solitudine è aumentato a causa del sostegno sociale diminuito.
Diverse caratteristiche positive della vita di una persona hanno aiutato a far fronte al COVID -19 mantenendo un certo grado di benessere, tra queste: la gratitudine, la grinta, la possibilità di continuare ad avere legami sociali, il volontariato, l’esercizio fisico ed avere un animale domestico.
D’altra parte alcune caratteristiche negative hanno indebolito la protezione della persona, come una precedente malattia mentale, un senso di incertezza e la mancanza di adeguate connessioni digitali. La connessione digitale è stata vitale, molte persone sono state aiutate da programmi digitali che hanno promosso la salute mentale.
Il COVID-19 ha avuto un importante impatto sul lavoro e, di conseguenza, sulle disuguaglianze, la capacità di resilienza e le prospettive di futuro. Si stima che il PIL globale si sia ridotto di circa il 5% nel 2020, rappresentando la più grande crisi economica in una generazione. In molti paesi, i posti di lavoro vacanti sono rimasti circa il 20% al di sotto dei livelli normali. I giovani, i lavoratori a basso reddito e quelli poco qualificati sono stati coloro che hanno perso più ore di lavoro o che hanno perso completamente il lavoro.
Il non essere in grado di lavorare ha avuto un effetto negativo sul benessere. La disoccupazione durante la pandemia è associata a un calo del 12% nella soddisfazione della vita ed a un aumento del 9% dell’effetto negativo. Per l’inattività sul mercato del lavoro sono state del 6,3% e 5%, rispettivamente.
I giovani riferiscono di livelli più bassi di benessere rispetto ad altri gruppi di età, ma l’effetto di non essere occupati è meno grave rispetto alle persone più anziane, il che suggerisce che potrebbero essere più ottimisti sulle future opportunità del mercato del lavoro post-pandemia. I paesi che hanno introdotto misure di protezione sociale per i lavoratori hanno generalmente visto un declino meno grave del benessere.
Per chi ha mantenuto l’occupazione, una gestione solidale e la flessibilità del lavoro sono diventati fattori più importanti per il benessere durante la pandemia. Inoltre, aspetti come la fiducia, il sostegno, l’inclusività, il senso di appartenenza al luogo di lavoro sono risultati importanti per nutrire la capacità di resilienza in tempi difficili, mentre altri aspetti come la realizzazione e l’apprendimento sul lavoro sono stati meno rilevanti.
Il supporto sociale può proteggere dall’impatto negativo di non poter lavorare. Nel Regno Unito, ad esempio, l’effetto negativo di non lavorare sulla soddisfazione della vita è stato del 40% più grave per i lavoratori autonomi, meno tutelati dalla protezione sociale. Tuttavia anche coloro che hanno avuto un qualche tipo di compensazione del reddito mancato, hanno mostrato un declino significativo nella soddisfazione della vita rispetto a quelli che hanno continuato a lavorare.
Gli impatti della pandemia sul mondo del lavoro sono destinati a durare come il passaggio al lavoro a distanza. Tuttavia fornire ai futuri lavoratori più flessibilità e controllo sulla loro vita lavorativa, rischia di minare il capitale sociale, le relazioni tra i lavoratori, tra le persone.
Infine, è interessante sintetizzare dal Rapporto alcune lezioni apprese dai paesi dell’Asia orientale, che sembra che abbiano avuto maggiori capacità di preservare il benessere delle popolazioni. Il successo dell’Asia orientale, dell’Australia e della Nuova Zelanda si deve al funzionamento dei test, del tracciamento, dell’isolamento, dei divieti di viaggio per assicurare che il virus non andasse mai fuori controllo. La politica di contenimento è stata efficace con il consenso dei cittadini. In Asia orientale, come altrove, l’evidenza mostra che il morale della gente migliora quando il governo è risoluto.
Il successo dei paesi dell’Asia/Pacifico nel controllare i decessi non si è avuto al costo di maggiori perdite economiche. Infatti, i paesi con i più alti tassi di mortalità hanno anche maggiori cali del PIL pro capite. Nel 2020, in questi paesi non c’è stata scelta tra la salute e un’economia in crescita. Il percorso al successo su entrambi gli aspetti è stato il risultato di un rapido e decisivo intervento – test, tracciamento e messa in quarantena dei soggetti a rischio – così come del ricorso ad una maggiore igiene personale, comprese le maschere per il viso, e la messa in quarantena dei viaggiatori internazionali.
I paesi di questa area hanno avuto un maggiore successo nell’adozione di interventi non farmaceutici per fermare la diffusione della malattia, come i controlli alle frontiere, l’uso di maschere per il viso, il distanziamento fisico e i test diffusi, la ricerca dei contatti e la messa in quarantena o l’isolamento degli individui infetti. Queste misure hanno avuto successo perché le politiche di controllo degli Stati hanno incontrato il consenso e il rispetto delle popolazioni locali.
La cultura più individualista dei paesi del paesi del Nord Atlantico rispetto ai paesi della regione Asia-Pacifico e la relativa rilassatezza delle norme sociali, possono aver contribuito a un minore sostegno pubblico agli interventi non farmaceutici. Affermazioni di “libertà personale e di privacy” nel Nord Atlantico hanno contribuito alla riluttanza degli individui a rispettare le misure di salute pubblica.
Una mancanza di sufficiente conoscenza scientifica tra le popolazioni dei paesi del Nord Atlantico ha anche contribuito al fallimento di un controllo efficace della pandemia a causa di una minore capacità della popolazione di comprendere l’epidemiologia della pandemia e di una sua maggiore suscettibilità alle false informazioni.
Da questa analisi e dalle lezioni del COVID-19 emergono questioni profonde che ci interrogano sulla cultura dei nostri paesi, sul senso della libertà e della solidarietà, sul rapporto tra individuo e comunità.
Per non tornare come prima e migliorare la nostra consapevolezza occorrerebbe affrontare questi problemi, andando oltre sterili polemiche.