La fame sempre più acuta per i giovani del Medio Oriente.
Il mondo ha fame e il suo spettro opprime tra i 691 ed i 783 milioni di persone, con una media di 735 milioni di affamati. Nel 2019 tale computo è salito di 122 milioni di persone rispetto all’anno precedente.
Le cause vanno ricercate sia nella pandemia che nel susseguirsi di crisi provocate e dai cambiamenti climatici che dai conflitti, in questo ultimo caso una parte importante è rappresentata dal conflitto russo-ucraino. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” (SOFI), pubblicato congiuntamente dalle 5 agenzie specializzate delle Nazioni Unite.
La fame e l’insicurezza alimentare hanno continuato ad aumentare nella regione araba, compreso il Medio Oriente, a causa di vari fattori, tra i quali la recente crisi pandemica mondiale, è il data dell’ultimo Rapporto Regional Overview of Food Security and Nutrition in the Near East and North Africa.
L’insicurezza alimentare moderata o grave ha colpito nel 2021 circa 154,3 milioni di persone rispetto ai 142,7 milioni del 2020, con un aumento di 11,6 milioni. Mentre quelle denutrite hanno raggiunto i 54,3 milioni nel 2021, pari al 12,2% della popolazione totale dell’area; questo dato comprende molteplici forme di malnutrizione, tra le quali l’arresto della crescita, il deperimento, il sovrappeso tra i bambini e obesità tra gli adulti. Più della metà della popolazione negli Stati arabi, ovvero 162,7 milioni di persone, non poteva permettersi, già nel 2020, una dieta sana.
A questa situazione si aggiunge il mancato rinnovo della Black Sea Grain Initiative, l’Accordo firmato nel luglio 2022 che ha consentito di aprire le rotte di esportazione del grano dall’Ucraina, precedentemente bloccate con l’intensificarsi della guerra. Grazie all’Accordo si è potuto far arrivare dai porti del Mar Nero, quasi 33 milioni di tonnellate di cereali e alimenti di base, contribuendo a far scendere i prezzi dei generi alimentari, stabilizzando il mercato e portando provviste sulle tavole dei minori più vulnerabili.
Tuttavia, crescono i timori per una crisi senza precedenti fra gli abitanti dell’intera area che, mai come oggi, guardano al futuro con incertezza e la paura di non disporre sufficiente denaro per l’acquisto di alimenti e materie prime.
Il Libano importa oltre la metà del suo grano dall’Ucraina. Al blocco dell’Accordo si assomma la peggiore crisi economica libanese del secolo, che aggrava l’insicurezza alimentare in un Paese nel quale il 46% delle famiglie libanesi ha la certezza di non disporre di abbastanza cibo da mangiare. Sono molte le persone che quotidianamente non hanno idea se potranno, dopo terminato di mangiare, accedere ad un pasto successivo. Si prevede che la riduzione di prodotti di base, come il grano e i cereali, sarà un duro colpo per molte famiglie, con migliaia di ragazzi e ragazze sicuramente in uno stato di sofferenza per la mancanza di cibo sufficiente.
Il Paese è quello con la più alta inflazione dei prezzi alimentari al mondo, che tocca uno strabiliante 352%. Milioni di libanesi sono in crisi o a livelli di emergenza a causa del divario del quale soffrono proprio a causa del consumo di cibo.
Nella vicina Siria, il salario medio mensile copre attualmente circa un quarto del fabbisogno alimentare di una famiglia. Circa 12,1 milioni di persone, oltre il 50% della popolazione, sono attualmente in condizioni di insicurezza alimentare mentre rischiano di precipitarvi altri 2,9 milioni di persone. D’altro canto, la malnutrizione è in aumento, con tassi mai visti prima sia di deficit di sviluppo che di malnutrizione materna. D’altro canto il Paese è sia alle prese con l’impatto devastante del terremoto, dello scorso febbraio, che per le conseguenze del conflitto che dura da 12 anni. Se prima del conflitto era autosufficiente nella produzione alimentare ora si colloca tra i primi sei paesi al mondo, con la più alta insicurezza alimentare e una forte dipendenza dalle importazioni di generi alimentari.
Nell’ultimo anno è raddoppiato il costo della selezione di prodotti alimentari standard che il World Food Programme utilizza per tenere monitorata l’inflazione in questo settore: al momento sono 13 volte più costosi rispetto a tre anni fa e non si prevedono segnali di ribasso.
All’indomani della pandemia e della guerra in Ucraina, la Giordania fatica a trovare stabilità a livello politico, economico e sociale. Sul piano interno, il Paese si appresta ad affrontare numerose sfide: un’economia in crisi e un crescente malcontento popolare. Nello scacchiere internazionale, a seguito della guerra russo-ucraina, si è cercato di mantenere una posizione di sostanziale equilibrio.
Se dal punto di vista della sicurezza alimentare, il Paese dipende dall’Ucraina per circa il 10% del proprio import di grano, ha retto all’aumento dei prezzi dei cereali provocato dalla guerra, l’attuale congiuntura economica ha invece colpito duramente il settore energetico nazionale. La Giordania è fortemente dipendente dalle importazioni di idrocarburi e ha sofferto la volatilità dei prezzi sui mercati energetici internazionali. Nei primi cinque mesi del 2022 le spese associate all’acquisto di petrolio hanno registrato un incremento del 68,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questi aumenti hanno avuto un profondo impatto sull’inflazione, che nel mese di novembre ha registrato un incremento del 4,99% rispetto allo stesso periodo del 2021.
In Iraq lo scorso anno, soprattutto nell’area del Sud, si sono registrate proteste per l’aumento dei generi alimentari, l’incremento dei prezzi sarebbe da imputare al conflitto russo – ucraino.
L’economia irachena soffre, non solo per la corruzione, ma per un mancato investimento nel mercato del lavoro, mentre non ha mostrato la capacità di contrastare ne l’inflazione che la riduzione del Prodotto Interno Lordo. La crisi è stata amplificata nel biennio del conflitto tra la coalizione internazionale e le milizie di Daesh, che hanno distrutto il Paese, perseguito le minoranze – come nel caso degli yazidi – e aggravato la condizione degli sfollati interni.
In Turchia i timori maggiori sono quelli emersi dagli stessi cittadini turchi: il 75% nutre una qualche forma di preoccupazione, più o meno profondo, che trae origine dall’inflazione del quale soffre il Paese, che ha raggiunto il picco massimo rispetto agli ultimi 24 anni, toccando quota 84,4% a novembre, per scendere al 64,27% a dicembre. Un rallentamento parziale per una congiunzione favorevole a fine anno.
I prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati di quasi l’1,9% a dicembre rispetto al mese precedente, mentre l’inflazione su base annua per i generi alimentari è del 78% circa secondo i dati dell’Istituto di statistica turco.
Ai primi di luglio scorso in Terra Santa l’esercito israeliano ha attaccato il campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, 12 palestinesi, compresi cinque bambini, ed un soldato israeliano sono rimasti uccisi. Più di un centinaio i feriti e migliaia che hanno lasciato le proprie case. Inoltre, sono state distrutte strade e infrastrutture civili, tra le quali le scuole e gli ospedali. L’incursione è stata la più grande operazione militare israeliana in Cisgiordania degli ultimi vent’anni, era, infatti, dalla Seconda Intifada – 2000-2005- che non si vedevano attacchi di questa portata al di fuori di Gaza.
Una situazione di stress, come quella vissuta dalla popolazione palestinese, ha conseguenze apparentemente opposte sull’alimentazione dei giovani palestinesi: da una parte la malnutrizione, particolarmente evidente in contesti come quello di Gaza, dove oltre il 64% degli abitanti soffre di insicurezza alimentare, ossia non riesce a sfamarsi; dall’altro un incremento esponenziale dell’obesità infantile come conseguenza di uno stile di vita difficile. L’anemia, della quale la maggior parte delle donne in stato di gravidanza ed i bambini in età prescolare è colpita, è causata, prevalentemente, da un’alimentazione povera di ferro o dalla carenza di altri micronutrienti. Una patologia che in fase gestazionale può provocare nascite premature, aumento della mortalità materna e, nel caso dei bambini, compromette lo sviluppo fisico e cognitivo, anche in modo molto grave. Se a Gaza vivono bambini anemici e sottopeso, in Cisgiordania ci sono bambini anemici e sovrappeso, provocato diabete, obesità, una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e anemia. A questo si aggiungono la carenza di vitamine A, D ed E, che svolgono un ruolo chiave nella vista, nella salute delle ossa e nella funzione immunitaria.