Bangladesh – Hayma, Mohib E Madhup: la sfida di diventare vecchi nelle povertà
di Beppe Pedron, Caritas Italiana
Hayma accarezza lentamente con le dita un lembo della stoffa che le copre le spalle. Ogni tanto solleva lo sguardo, studia d’intorno le persone che la circondano, sempre le stesse da anni: la nuora, i nipoti e una vecchia vicina di casa che passa quotidianamente ad aiutare.
Vive in un campo profughi in India, da quando ha dovuto abbandonare decenni fa il proprio Paese. Il figlio se l’è rapito la violenza cieca e selvaggia di un regime militare, ormai diciassette anni fa. O forse era ieri, soltanto.
Hayma pensa che Dampa stia per tornare dal lavoro, ad ogni rumore alza gli occhi per cercarlo mentre varca la soglia e sorride. Tuttavia, sa che tutto ciò non accadrà: suo figlio è stato rapito dai militari una notte di diciassette anni fa, o forse dieci o forse era ieri. Magari stamattina soltanto.
E ad ogni nuovo respiro accarezza con le dita il lembo di stoffa già lisciato anche al respiro precedente, chiede un sorso di thè, bevuto anche qualche minuto fa, come fosse la prima volta e alza lo sguardo per cercare Dampa che sta di certo per entrare dalla porta. Forse stasera non torna perché i militari lo hanno portato via ieri, o probabilmente cinque anni fa.
Hayma è protetta dal dolore per la perdita del figlio, dalla minaccia dolorosissima del ritorno dei militari al potere in Myanmar, dalle restrizioni della pandemia e dall’isolamento sociale: la demenza senile – qui la diagnosi accurata non è possibile – lo fa sperare ad ogni istante in un nuovo inizio. Il suo stato ha cancellato la speranza della democrazia e gli permette che la porta possa aprirsi, in qualsiasi momento, e che compaia il sorriso bianco di Dampa.
Non molto distante Mohib, seduto sul terreno ora inaridito, ma solo qualche mese fa viscido e fangoso del campo di Cox’s Bazar, prende dalla brocca di plastica sporca un bicchierino d’acqua e innaffia la gamba di una sedia di plastica su cui siede il nipotino non curante del nonno.
Osserva la sedia e guarda il nipotino. Mohib, con lo sguardo carico d’amore disperato. Esce, saluta il vicino nella baracca affianco, anche lui vecchio e stanco, cosi stanco da non rispondere a quel saluto ripetuto cento volte al giorno, ma sempre con la freschezza della prima volta, e torna ad innaffiare la sedia di plastica.
Vicino, ma distante Madhup, nell’affollatissima Dhaka, incontra gli amici di un tempo, quelli rimasti. Si tiene lontano, cercando di tenere la mascherina al suo posto sul viso, alzando la voce per farsi sentire e alla fine tornando sconsolato verso casa dove lo attendono la figlia, le sue cure e una solitudine sorda che spezza il fiato.
La notte, nel letto, quando il sonno è solo un sogno e i rumori della strada scandiscono le ore lentissime si chiede se la colpa sia dei cinesi e del loro virus o magari delle caste basse che insozzano la purezza del mondo, o anche forse dei profughi Rohingya, quelli di Burma che rubano le poche risorse del grande Bangladesh. Un Paese che se non ci fossero gli indiani o i birmani o i cristiani sarebbe il più ricco del mondo.
E mentre la tristezza profonda della solitudine forzata si traveste di rabbia sopraggiunge l’alba ad illuminare un nuovo giorno carico di ombre.
Gli anziani in tutto il mondo si trovano spesso in condizione di sofferenza, fisica certamente per i problemi di salute legati all’età, ma anche psicologica e sociale.
L’Asia non fa eccezione, particolarmente in questo momento, con la pandemia ancora molto attiva e con gli strascichi conseguenti che provocano per le persone anziane un aumento dell’isolamento, della solitudine oltre all’aggravarsi delle condizioni già difficili.
In Bangladesh ci sono più di 13 milioni e mezzo di anziani, una proiezione statistica prevede che nel 2050 questi saranno 43 milioni in uno dei paesi dell’intera area che maggiormente registra i loro disagi. Il 26% di questi soffre di malnutrizione mentre il 62% è a rischio di essere malnutrito1, moltissimi hanno malattie fisiche e oltre la metà di loro manifesta più patologie contemporaneamente.2
A ciò si aggiungono le malattie e i disagi mentali: oltre il 50% della popolazione anziana del Paese soffre di una qualche forma di disagio depressivo3 e il 54% di solitudine.4
Inoltre, gli anziani sono spesso vittime di abusi domestici, violenza, abbandono o anche “usati” per i lavori di casa.5
L’Asia, in generale, è una Regione “giovane” con un’età media significativamente più bassa di quella della popolazione europea o nord-americana ed un tasso di natalità ancora elevato, seppur in sensibile frenata. Nondimeno sono, però, “giovani” anche le problematiche relative alla terza età e con queste l’applicazione di strategie efficaci e sostenibili per assicurare una vita dignitosa ed inclusiva a favore degli anziani.
Al di là dei fattori genetici o semplicemente ciclici: l’età, le altre problematiche sociali, proprie del territorio ciò che sicuramente rende la vita delle persone con un’età avanzata spesso una sfida sono la poca sicurezza alimentare che li costringe a lottare quotidianamente per il cibo, la carenza di servizi sanitari con la conseguente mancata diagnosi e cura adeguate e l’inevitabile tasso maggiore di mortalità. L’”idea sociale di anziano” nell’immaginario culturale li circoscrive ad un ruolo passivo, poco utile alla società e come persone in attesa della fine inevitabile.
Se prima l’anziano nella società tradizionale era colui che trasmetteva la cultura ed il sapere alle generazioni, non senza le contraddizioni e lo stridore degli abusi che anche questa mostrava, ora con le società asiatiche in profondo cambiamento, viene a mancare l’elemento costruttivo e attivo, ossia il passaggio delle conoscenze e della cultura, e resta solo l’aspetto passivo.
Ad eccezione di alcune aree urbane, l’idea che l’attività fisica, sociale, mentale e creativa6 sia necessaria per la salute e la prevenzione del decadimento nell’anziano non è un bagaglio culturale di molti Paesi asiatici.
Madhup, nella sua insonnia costante e nell’insoddisfazione della solitudine, gira per il quartiere sfidando la polizia e il virus, senza usare la mascherina, tentando di andare a trovare gli amici, spesso anche loro chiusi nelle loro case, di evitare gli “untori” – poveri, stranieri e diversi – e litigando quotidianamente con questa vita divenuta cosi ostile, opprimente ed incomprensibile.
La figlia lo accoglie ogni sera a casa con un piatto di riso e lenticchie, un sorriso sempre più tirato e la paura di diventare il prossimo bersaglio della rabbia di Mandhup.
La povertà e il conseguente mancato accesso ai servizi è un fattore molto serio di vulnerabilità per le persone anziane in Asia e il COVID – 19 ha aggravato molto seriamente la situazione. Oltre al rischio insito nell’età, legato specificamente al virus, è aumentato ancora di più l’isolamento sociale, gli abusi da parte dei familiari7, l’abbandono e le patologie psicologiche e psichiatriche. Si è verificato che tra le molte categorie sociali che questo virus ha portato nella fascia di estrema povertà, in senso lato, quella degli anziani è certamente una tra le più a rischio.
Mohib, a Cox’s bazar riceve le visite degli operatori Caritas che lo aiutano a lavarsi e lo coinvolgono nelle attività di coesione organizzate al campo: incontri tra anziani e giovani, per intrattenersi in giochi antichi, per rinsaldare legami generazionali allentati dagli ultimi eventi politici e sociali, per impedire del tutto il distanziamento sociale con l’inaridimento delle anime.
Anche Dampa è tornato: finalmente dopo diciassette anni o forse venticinque o magari solo dopo sette.
Per Hayma Arul, l’operatore che è venuto ad assicurarsi che sia ben nutrita, che consegna alla famiglia cibo di qualità e che sistematicamente accompagna la dottoressa delle Nazioni Unite a visitarla, è Dampa. E Arul si lascia chiamare “figliolo”, racconta per l’ennesima volta di quella volta che è stato preso dall’esercito birmano, anche se lui in Myanmar non è proprio mai stato, e di come si sia liberato per tornare da lei, dalla sua mamma.
Hayma sorride, non sa da quanto Dampa sia stato rapito. Ricorda molto bene le botte, le urla, la paura del regime. Non sa quanto tempo sia passato, ma tra cinque minuti guarderà con occhi nuovi Arul, chiamandolo “figlio” e chiedendo che gli racconti di come ha fatto a liberarsi da lei. E Arul riinizierà il racconto della vita di un figlio che non c’è più. Per Hayma il ricordo più vicino nel tempo è quello di un respiro, per lei ogni batter di ciglia è l’attesa di qualcosa di nuovo, alle quali le parole non sanno dare un nome. Per Hayma la vittoria democratica del Myanmar del 2008 non è mai esistita.
Come non esiste nemmeno lo strazio attonito di questo tempo nel quale, ancora una volta, i giovani sogni di un popolo si infrangono nella vecchia sete di potere.
1 MS Rahman and MA Rahman, Impacts of climate change on crop production in Bangladesh: a review, J Agric Crops, Vol. 5, 2019, pp. 6-14.
2 Bangladesh Bureau of Statistics (BBS), Elderly population in Bangladesh: current features and future perspectives. Population monograph: volume-4, 2015. (accessed June 9, 2020).
3 MS Rahman, MA Rahman, M Ali, MS Rahman, M Maniruzzaman, MA Yeasmin, et al., Determinants of depressive symptoms among older people in Bangladesh, J Affect Disord, Vol. 264, 2020, pp. 157-62.
4 MS Rahman, MA Rahman, and MS Rahman, Prevalence and determinants of loneliness among older adults in Bangladesh, Int J Emerging Trends Soc Sci, Vol. 5, 2019, pp. 57-64.
5 S Farid, Elder abuse and neglect in Bangladesh: understanding issues, associated factors and consequences, Family Med Primary Care Rev, Vol. 19, 2017, pp. 123-7.
6 ‘It’s time to recognise the contribution arts can make to health and wellbeing’