Camminare verso un mondo di pace
di Massimo Pallottino, Caritas Italiana
In questo faticoso 2022 siamo posti di fronte alle difficoltà di dover cercare una strada in un mondo assetato di pace e ancora assediato dalla pandemia. Dove la corsa agli armamenti non sembra che sia rallentata neanche in un periodo così tragico, come testimonia l’ultimo rapporto SIPRI[1].
Proprio dalla constatazione di questa contraddizione è necessario ripartire, se si vuole dare un nuovo impulso alla ricerca di un nuovo bene comune post-pandemico: occorre trasformare le armi in investimenti sull’educazione! Occorre che ogni attività educativa sia permeata di quella cultura della cura grazie alla quale si metta in pratica l’attenzione attiva nei riguardi di ogni donna e ogni uomo presente sul Pianeta.
È questa forse l’indicazione centrale di Papa Francesco nel messaggio per la Giornata per la Pace 2022, a partire – soprattutto in questi tempi di sfide ambientali – da un dialogo tra generazioni. È necessaria una saldatura tra chi è custode della memoria di ciò che siamo stati e chi deve dare un nuovo impulso alla storia: “frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze.”[2]
Costruire la pace nel dialogo, dunque. Tuttavia, per costruire la pace si tratta, ancora una volta, di superare l’idea che essa coincida unicamente con l’assenza di conflitto violento. Sappiamo bene come l’assenza di violenza non coincida con quello che vorremmo da una pace fondata sulla giustizia e sul rispetto.
In molti paesi del mondo gli ultimi due anni di pandemia hanno coinciso con un aumento della pressione di controllo sui cittadini: la ‘lotta alla pandemia’ ha sostituito la ‘lotta al terrorismo’ nella retorica di tutti i governi interessati a legittimare forme di controllo sempre più stringenti. La pace che vige nei regimi autoritari non è vera pace, e, in molti casi, il conflitto e la contrapposizione sociale devono essere riconosciuti e trasformati in forme di confronto rispettoso ma franco, perché tutte e tutti possano dire la loro sulla società nella quale desiderano vivere.
Gli osservatori sullo stato della democrazia ci indicano, invece, tutti la stessa cosa: gli spazi di interazione offerti alle organizzazioni civiche e quelli della democrazia sembrano diminuire su tutto il Pianeta. Il conflitto viene compresso e non si traduce in opportunità per quella che Johan Galtung traduceva nella distinzione tra pace ‘negativa’, eliminazione della violenza diretta, e pace ‘positiva’, eliminazione dei vincoli al potenziale umano dovuti alle strutture economiche e politiche. Tale modo di intendere ha delle implicazioni dirette in termini di cose da fare, che Galtung[3] stesso articola in sei compiti di pace: tre ‘assenze’ e tre ‘presenze’.
Primo, eliminando la violenza diretta che causa le sofferenze, ma anche le strutture sociali che sono causa profonda di quelle stesse sofferenze con l’iniquità economica o i muri, così popolari di questi tempi, che costruiscono ghetti e separazione, superando tutti i ragionamenti e le giustificazioni che legittimano queste due forme di violenza.
In secondo luogo, costruendo le condizioni per una pace ‘positiva’ diretta, strutturale e culturale: aggiungendo all’assenza di violenza e sfruttamento i termini di una cooperazione positiva e la costruzione di una condizione di equità. Queste sono le caratteristiche essenziali per costruire infine una vera ‘cultura di pace’ – così vicina a quella ‘cultura della cura’ evocata da Papa Francesco – orientata al rispetto, alla dignità, ai diritti, al dialogo. La pace non può essere considerata se non in termini olistici: spesso si pensa alla pace in termini di ‘cessate il fuoco’, che è certo necessario ed è semplicemente un gradino, non più di un sesto, di un processo ben più complesso.
È invece essenziale, soprattutto nel mondo nel quale viviamo alzare l’attenzione sulla necessità di costruire realmente una cultura di pace. Il fatto che la guerra sia un esito in qualche modo inevitabile dell’attuale congiuntura internazionale sembra essere convinzione sempre più diffusa anche tra i giovani; ma tale elemento, come ricorda il recentissimo volume sui Conflitti Dimenticati pubblicato da Caritas Italiana[4], si unisce una scarsa conoscenza di quanto sta avvenendo nella nostra Casa comune in termini di conflitti e violenze; come nel caso della guerra a livello globale, una scena sociale segmentata e frammentata sembra diminuire la consapevolezza sulle faglie che l’attraversano, assieme ad una sempre più passiva accettazione della contrapposizione e della violenza come un elemento ineliminabile di ogni processo di cambiamento.
È importante riaffermare e testimoniare che non è così, che l’aumento delle tensioni e della violenza non sono un prodotto necessario del nostro tempo, che esso può essere contrastato educandoci ad un approccio diverso e promuovendo una società più pacifica sin dalle sue fondamenta.
È chiaro il motivo della sottolineatura del Papa a proposito dell’educazione e nella costruzione di una cultura di pace, con uno sforzo da parte dei decisori: “è dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.”
Meno armi, più scuola, più ponti, cura reciproca: è questo il messaggio. Assieme all’attenzione per l’educazione e la formazione, in particolare dei giovani, il Papa aggiunge un ulteriore tassello, sottolineando l’importanza del lavoro come fattore essenziale per costruire la pace, fattore di dignità e di promozione, soprattutto, per i più poveri e i più vulnerabili, le cui vite sono state messe a dura prova in questo periodo di pandemia.
Una via di pace nella quale grazie alla formazione e all’educazione si costruiscono competenze e sensibilità ed il lavoro di ciascuno esercita la responsabilità di contribuire alla dignità propria e di tutti.
Sono proprio queste le urgenze ai quali i progetti promossi dalla Campagna “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” e la Maratona ‘Insieme per gli ultimi’ cercano di offrire una risposta: occasioni concrete di riscatto, di giustizia, di pace positiva. Occasioni affinché ciascuno possa offrire un contributo per rispondere a sfide che nel post pandemia sono ancora più difficili e inevitabili.
[1] STOCKHOLM INTERNATIONAL PEACE RESEARCH INSTITUTE, SIPRI YEARBOOK 2021: armaments, disarmament and international security., S.l., OXFORD UNIV PRESS, 2021.
[2] Papa Francesco, messaggio per la LV Giornata Mondiale Della Pace, 1° Gennaio 2022
[3] Traduzione e adattamento da Webel Charles – Galtung Johan (Edd.), Handbook of peace and conflict studies, London ; New York, Routledge, 2007.
[4] Beccegato Paolo – Nanni Walter (Edd.), Falsi equilibri: rapporto su disuguaglianze e conflitti dimenticati, Cinisello Balasamo, Edizioni San Paolo, 2021.