Evadere da sé stessi, il Rajan Center.
Erbil è una città giovane, moderna, a tratti caotica, mai stanca o paga di cambiamenti. Basta un briciolo di attenzione in meno per perdersi decine di migliaia di dettagli impercettibili che si confondono con animali, macchine e persone sempre in movimento.
Eppure, aguzzando un po’ lo sguardo mentre si percorre la strada che porta verso il suo centro nevralgico, si può scorgere l’entrata di una struttura rivoluzionaria: il Rajan Center, che da anni accoglie donne e ragazzi dei sobborghi della città per guidarli in un percorso di apprendimento e di inserimento lavorativo.
È nella volontà di incoraggiare questo spirito che Focsiv ha di essere a fianco di Beyda, 32 anni, come di altre centinaia di donne che, come lei, non vogliono arrendersi ad una condizione di marginalità.
“Prima di iscrivermi ai corsi di inglese e cucito del Rajan Center ero sempre a casa ad occuparmi dei lavori domestici, a prendermi cura dei bambini e dei genitori di mio marito, entrambi disabili. Non avevo nessuna occasione per uscire, svagarmi ed evadere, a volte anche da me stessa.”
Non solo luogo di apprendimento, dunque, ma anche e soprattutto di aggregazione, in una città che non offre abbastanza alle donne. Se ne diventa consapevoli entrando in uno qualsiasi dei teashop brulicanti di uomini intenti a bere il chai ed a fumare la shisha: mentre all’orizzonte neppure una donna.
“Mi sono iscritta per cambiare la mia routine giornaliera. Grazie ai corsi ho avuto modo di incontrare gente nuova, di stringere diverse amicizie e, al contempo, di fare qualcosa per migliorare me stessa.”
Tuttavia, il racconto Beyda non si limita a questo: rivela che è particolarmente sensibile al tema della disabilità: “I genitori di mio marito non sono le prime persone disabili delle quali mi prendo cura. Da piccola, dovevo occuparmi di mia sorella maggiore. A 17 anni ho dovuto interrompere gli studi proprio per questo motivo. Non avevo più tempo per la scuola, nonostante frequentassi l’ultimo anno del liceo. Attualmente, qui in Iraq, i casi di disturbi, soprattutto mentali, sono tantissimi, frutto di decenni di guerra e del post-guerra oltre all’utilizzo di armi chimiche.”
Beyda si riferisce all’attacco di Halabja del 16 marzo 1988 che ebbe danni pesanti per la popolazione civile: gli scienziati concordano che le armi chimiche usate da Saddam Hussein, all’epoca della guerra Iran-Iraq, siano state il risultato di un miscuglio di iprite, acido cianidrico e gas neurotossici.
“Tuttavia, non ci sono centri di supporto per le persone con disabilità o per le loro famiglie ed i pochi che ci sono, hanno dei costi eccessivamente alti.” È altruista, Beyda, al punto da non poter fare a meno di “assumersi tutte le responsabilità su di sé.” Queste responsabilità, lei, non vuole assumersele solo nei confronti della propria famiglia, ma anche rispetto all’intera città.
“I corsi che sto frequentando mi aiuteranno a trovare delle opportunità lavorative più facilmente. Un giorno, spero di avere un lavoro che mi permetta di essere di supporto per le persone con disabilità presenti ad Erbil.”