Gibuti – Il quindicenne Adil per la prima volta entra a scuola e il suo futuro cambierà
di Fabrizio Cavaletti, Caritas Italiana
Domenica 6 settembre a Gibuti, Paese islamico dove il giorno festivo è il venerdì, si è aperta la scuola e con questa le speranze di riscatto di Adil, uno dei minori che frequentano il Centro di alfabetizzazione «Lire, Écrire, Compter» (Leggere, Scrivere, Contare), per tutti il centro LEC della Diocesi di Gibuti.
Adil ha 15 anni e vive in una delle baraccopoli della città. La sua famiglia era troppo povera per mandarlo a scuola ed è stato costretto a guadagnare qualcosa per strada come: lustra scarpe, vendendo sigarette, lavando auto o chiedendo l’elemosina.
Adil non sa leggere e scrivere. È troppo grande per iscriversi alla scuola primaria e come lui tanti altri che restano esclusi dal circuito scolastico pubblico, a causa delle enormi disparità sociali che caratterizzano questo Paese. Il COVID-19 ha solo inasprito questa disparità.
La Repubblica di Gibuti (Djibuti) è uno Stato piccolo del Corno d’Africa, situato all’estremità meridionale del Mar Rosso, confinante con Etiopia, Somalia ed Eritrea e distante soli 30 km in linea d’aria dallo Yemen. Le stime ufficiali contano una popolazione di circa 900.000 abitanti, due terzi dei quali risiede nella Capitale.
Nonostante Gibuti rappresenti una sorta di “oasi di pace” circondata da un contesto incandescente, il Paese è caratterizzato da ampie sacche di povertà ed enormi disuguaglianze oltre che essere meta e corridoio di transito per migliaia di migranti che ogni giorno attraversano questo piccolo lembo di terra divenuto punto focale dei flussi dell’area per raggiungere l’Arabia Saudita attraverso lo Yemen o per insediarsi nella Capitale in cerca di fortuna.
La povertà, che colpisce quasi il 60% della popolazione, a Gibuti è sinonimo di precarietà e di difficoltà di accesso ai servizi di base, soprattutto nelle zone rurali e nelle baraccopoli della Capitale. Una precarietà che il COVID-19 e le misure di lockdown imposte dal Governo gibutino hanno accentuato per le famiglie come quella di Adil, che basano il loro sostentamento nella possibilità di uscire e cercare di che vivere alla giornata. Tali disparità incidono enormemente sull’educazione con analfabetismo e bassi livelli di istruzione diffusi, in particolare tra le fasce più povere e tra i migranti.
Nonostante i progressi registrati negli ultimi 10 anni nell’istruzione, alcune categorie restano escluse dal circuito scolastico, il COVID-19 ha esacerbato le cause alla radice di tale condizione. Si tratta di ragazzi che come Adil sono troppo vecchi per essere ammessi all’inizio del ciclo primario, oppure sono senza documenti civili né certificato di nascita, privi di mezzi finanziari, senza genitori in grado di tutela, provenienti da villaggi in aree rurali, migranti e rifugiati fuggiti dai paesi vicini, bambini che vivono in strada.
Inoltre, si assiste a un drammatico fenomeno di analfabetismo di ritorno di molti giovani e adulti che, in conseguenza alla mancanza di pratica, non sono più in grado di utilizzare le conoscenze imparate a scuola. Vi sono moltissimi giovani, soprattutto ragazze, che non hanno mai frequentato le scuole, che non hanno i rudimenti della lingua ufficiale, il francese, e di conseguenza si trovano fuori da ogni possibilità di cambiamento dello status.
L’analfabetismo, nella particolare situazione di Gibuti, una città-stato senza molte alternative professionali, diventa un elemento di emarginazione sociale. Chi ne è vittima diventa più facilmente preda della malavita e di traffici illeciti. Tra i minori una particolare condizione di emarginazione è vissuta da coloro che hanno forme di disabilità psichica o fisica. Sono questi vittima di un alto stigma sociale e, spesso, sono tenuti in casa nascosti e senza alcun sostegno pubblico. I disabili sono esclusi dalla scuola pubblica, né tantomeno vi sono percorsi educativi alternativi offerti dallo Stato.
Tuttavia, proprio grazie al lavoro della Diocesi di Gibuti in questo ambito a partire dal 2007, il Governo gibutino ha compiuto progressi importanti sottoscrivendo nel 2012 la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e il protocollo opzionale (OP), mostrando grande interesse per l’iniziativa “scuola inclusiva” della Diocesi con la recente istituzione di un’Agenzia nazionale per la disabilità con la prospettiva di introdurre il progetto anche nelle scuole pubbliche. A partire dal 2019 alcune scuole statali hanno avviato forma di inclusione dei disabili sull’esempio del programma “scuola inclusiva”.
I centri di alfabetizzazione «Lire, Écrire, compter» (LEC) della Diocesi di Gibuti, in tutto 5 in diverse località, rappresentano una speranza di futuro per tutti questi ragazzi e ragazze tra gli 8 i 20 anni che non hanno accesso alla scuola pubblica. I centri sono volti al recupero delle conoscenze scolastiche – francese e matematica di base – tramite un ciclo di durata triennale con un programma approvato dal Governo.
In tutto il Paese in media sono circa 800 gli studenti che ogni anno frequentano i LEC. L’azione svolta da questa iniziativa da oltre 30 anni, sulla base di preesistenti Foyer Sociaux, ha dato a migliaia di giovani nuove basi per tentare di uscire da un futuro di emarginazione sociale e ora più che mai rappresentano un argine al rischio di abbandono scolastico delle fasce più vulnerabili colpite maggiormente dalle conseguenze sociali ed economiche del COVID-19.
Gli studenti hanno in media 14 ore di lezione a settimana che si svolgono al mattino e al pomeriggio per alcuni. Il calendario scolastico è simile a quello della scuola elementare pubblica con gli stessi periodi di vacanza, ma con orari meno intensi ed adattati in base alle esigenze degli studenti e alle possibilità delle diverse strutture.
Vi è un costante dialogo con le Istituzioni per stimolare una presa in carico di questi giovani all’interno del sistema pubblico e qualche risultato è stato ottenuto, ma non è ancora abbastanza, infatti i centri sono completamente finanziati dalla Diocesi stessa grazie alle donazioni esterne, tra le quali Caritas Italiana.
Dal 2013 nei LEC è iniziato anche un programma di scuola inclusiva denominato «Ecole pour tous» (scuola per tutti) per bambini con disabilità, altra categoria esclusa dalla scuola pubblica. Si tratta dell’introduzione di classi speciali, all’interno dei centri, per bambini disabili dove si svolgono attività specifiche adeguate ai loro bisogni, ma anche momenti di gioco insieme agli altri studenti. Il programma prevede anche una formazione specifica per le insegnati, inizialmente queste stesse portatrici di stigma nei confronti dei disabili. Un’iniziativa che ha fatto uscire dal nascondimento molti minori con handicap e, in sette anni, è riuscita a promuovere un cambiamento di mentalità anche nelle Istituzioni. Adil quest’anno è tornato tra i banchi scolastici grazie alla solidarietà di tante persone di buona volontà che ogni giorno s’impegnano affinché la scuola sia un diritto realmente per tutti, ma sono ancora tanti, troppi gli Adil a Gibuti come tanti altri nel resto del mondo l’istruzione resta solo un sogno.