Il marchio di infamia: la storia di Kamel.
Era il giugno del 2014 quando la nun – la 25a lettera dell’alfabeto arabo – rosso sangue apparve dipinta sulla porta della casa di Kamel.
Ha la forma di un semicerchio sovrastata da un puntino, la lettera araba nun – la 25a lettera dell’alfabeto arabo – sembra quasi una luna che si staglia non riflessa sulla superficie stilizzata di un lago, una lettera che in italiano ha il suono nasale della nostra n. Nel giro di pochissimi giorni questo segno innocente, incolpevole come può esserlo un qualsiasi grafema dell’alfabeto, assunse il peso simbolico di una lettera scarlatta.
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A partire dal 9 giugno, quando gli uomini neri dell’Isis presero in mano Mosul – l’antica Ninive – le centinaia nun iniziarono a fiorire come papaveri vermigli su stipiti, architravi, muri delle abitazioni, negozi, proprietà di molti amici di Kamel. Come se essere parte della sua cerchia di affetti, fosse il motivo stesso dell’identificazione con quel marchio distintivo.
In realtà Kamel non aveva alcuna relazione con la comparsa di questo simbolo sulle case di alcuni, la lettera era piuttosto legata al suo significato intrinseco: la nun è la lettera iniziale della versione coranica della parola “cristiano”, nasrani, Nazareno. In questo modo gli uomini dell’Isis, presenti a Mosul, contrassegnavano la presenza di uomini e donne di fede cristiana in città, identificandoli come primi destinatari delle loro violenze. Molti tra i cristiani iniziarono a fuggire, lasciando la città svuotata della loro di quasi millenaria presenza. Anche Kamel fuggì, giovane padre di due bambini appena nati, insieme alla sua sposa Nour incinta per la terza volta. Insieme varcarono le soglie della Giordania, dove centinaia di migliaia di profughi fra iracheni, siriani, ma anche yemeniti, sudanesi, etiopi, avevano trovato rifugio nel regno hashemita.
Oggi sono circa 760mila i profughi registrati presso l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma secondo dati governativi altri 600mila vivono nel Paese in modo informale.
L’incipit del romanzo “Anna Karenina” recita “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.” Eppure le storie di infelicità, di chi fugge dalla guerra, sono tutte incredibilmente simili, compresa quella di Kamel lontana, anche dall’essere l’eccezione che conferma la regola.
Le settimane correvano veloci ed ancora di più i risparmi di una vita, lasciando in breve tempo Kamel e la sua famiglia senza cibo e riparo nella grande Amman, mentre il ventre di Nour cresceva giorno dopo giorno.
Il passaparola delle buone notizie della comunità dei profughi iracheni ad Amman arrivò anche alle orecchie di Kamel, che venne così a conoscenza del progetto di Caritas Jordan.
Un programma in grado di curare la salute e l’anima di chi fugge; di offrire sia assistenza pre e neo natale alle giovani future mamme provenienti da contesti di guerra, sia di formare ed inserire nel mercato del lavoro i tanti padri famiglia disoccupati. Nour venne accolta nella clinica di Caritas Jordan, seguita passo, passo dai medici e volontari, che l’aiutarono a dare alla luce, pochi giorni dopo, il piccolo Yuhanna, Giovanni come il Profeta.
Kamel venne invece inserito in un corso di formazione professionale, per diventare falegname. Lui con il lavoro manuale ci sapeva fare, visto che nei tempi felici prima dello Stato Islamico lavorava come muratore. Imparò facilmente l’arte del legno per poi lavorare nella bottega Caritas del Mercy Garden, il Giardino della Grazia, dove attualmente gestisce un laboratorio di upcycling. In questo luogo Kamel si occupa di riuso creativo, recuperando oggetti di scarto per trasformarli in mobili, elementi di arredamento e design.
Sono trascorsi diversi anni dall’arrivo in Giordania di Kamel e della sua famiglia, ancora vivono ad Amman rispettati dai loro vicini e ben integrati nella comunità locale. Pochi mesi fa Kamel ha scelto di farsi tatuare sulla mano sinistra la nun dei nasrani, dei cristiani.
Il marchio di infamia non lo è mai per chi lo subisce, bensì per coloro che lo impongono.