Il social corner di Papa Francesco sulla rotta balcanica dove gioca Pegah, bambina iraniana, ferma da 2 anni nel campo di Usivak
di Daniele Bombardi, Caritas Italiana
“Mi chiamo Pegah, ho 10 anni e vengo dall’Iran. Sto viaggiando con i miei genitori e il mio fratello più piccolo. Ormai sono quasi 2 anni che siamo bloccati, viviamo qui in questo campo.”
Incontriamo questa bambina una mattina di inizio autunno al campo profughi di Usivak, una ex caserma poco fuori Sarajevo, capitale della Bosnia e Erzegovina. Usivak è un campo che accoglie soprattutto famiglie con bambini e minori non accompagnati. C’erano circa 600 persone accolte al campo prima dell’estate, ma i flussi migratori sono in continuo aumento, e ad Usival ora siamo oltre i 900 ospiti. I posti letto non bastano più.
“Non so quanto sia durato il viaggio dall’Iran fino a qui. Mi ricordo che abbiamo viaggiato tanto a piedi. Prima di qui mi ricordo che abbiamo passato abbastanza tempo in Turchia.”
Anche Pegah e la sua famiglia, dunque, sono tra le persone che hanno deciso di attraversare la Rotta Balcanica per provare a costruirsi un futuro migliore in un paese dell’Unione Europea. Come loro, ogni anno, provano a percorrere questa rotta decine di migliaia di persone: secondo i dati UNHCR, nel 2019 sono passati dalla Rotta Balcanica oltre 53.000 migranti, e nei primi 8 mesi del 2020 sono oltre 36.000. Un dato enorme se si considera che per quasi 3 mesi anche la migrazione è stata in lockdown, con le persone costrette a stare rinchiuse dentro i campi per il timore del coronavirus.
La Rotta Balcanica è un corridoio migratorio relativamente “nuovo”, salito alle cronache a partire dal 2015 con la grande migrazione di quasi un milione di persone in pochi mesi per lo più dalla Siria verso la Germania e l’Austria. Da allora è sempre piu frequentato da persone non solo siriane, ma anche provenienti da molti altri luoghi diversi: paesi mediorientali – Iraq, Iran, Palestina – paesi asiatici – Afghanistan, Pakistan, Bangladesh – paesi nordafricani – Algeria, Marocco, Tunisia – e sempre più spesso anche da paesi subsahariani e del Corno d’Africa.
Molti sono spaventati dall’idea di migrare tramite la Libia e il Mediterraneo. Tutte queste persone arrivano anzitutto in Turchia, Paese che ad oggi ospita quasi 4 milioni di profughi, rifugiati e richiedenti asilo; da lì passano prima in Grecia, e poi proseguono in varie direzioni attraverso la Bulgaria, i paesi ex jugoslavi e l’Albania.
La meta è uguale per tutti: un paese dell’Unione Europea, dove magari già vive un familiare, un conoscente, un amico, arrivato negli anni scorsi sempre tramite la stessa Rotta. È il caso anche di Pegah e della sua famiglia: “Vogliamo andare in Germania perchè lì ci sono i miei nonni paterni. Loro sono già lì, vogliamo raggiungerli.”
Tuttavia, la migrazione lungo la Rotta Balcanica non è certo un percorso indolore. Un elemento del quale si parla poco quando si affronta la questione migrazione, che invece meriterebbe maggiore attenzione, è che spessissimo le famiglie di chi migra sono costrette a dividersi, per periodi estremamente lunghi. Ci racconta Pegah: “Nella mia famiglia non stiamo viaggiando tutti. Mia sorella più grande è rimasta in Iran con i nonni materni.”
I costi per persona per provare ad arrivare nell’Unione Europea sono infatti altissimi: chi migra molto spesso deve appoggiarsi ai trafficanti locali, che offrono i loro “servizi” per migliaia di euro. Chi non riesce a passare un confine da solo, perchè magari la polizia lo scopre e lo rimanda indietro, ha come unica alternativa quella di pagare un passeur, che con qualche migliaio di euro ti assicura di passare i confini senza pericolo. Peccato però che i Balcani siano pieni di confini, e dunque i costi di questa migrazione lievitano in maniera spropositata.
Per una famiglia come quella di Pegah, dall’Iran, Paese di partenza, fino alla destinazione finale, la Germania, possono servire anche decine di migliaia di Euro.
Così le famiglie spesso decidono di mandare in avanscoperta solo uno o due componenti, il motivo è che economicamente non possono sostenere una spesa così alta per tutti. Spesso passano molti mesi, se non anni, prima che il familiare in avanscoperta riesca ad arrivare a destinazione: solo allora, quando quel familiare troverà un lavoro in Germania o in un altro paese comunitario, potrà nuovamente mettere via qualche soldo per consentire il viaggio anche agli altri membri della famiglia. I quali però a loro volta viaggiano anch’essi in maniera lenta, proprio come la famiglia di Pegah, e ci impiegano altri mesi a raggiungere la destinazione. Non è raro dunque che dei padri non vedano i loro figli o le loro mogli anche per 3-4 anni di seguito.
Il viaggio procede dunque per tappe: appena riesci a raccogliere i soldi necessari, puoi passare alla tappa successiva. Tuttavia, in questo modo una famiglia può restare bloccata in un campo profughi per molti mesi, poiché il loro familiare in Germania, magari, ha bisogno di tempo per raccogliere tutti i soldi necessari a pagare loro la tappa successiva.
Pegah e la sua famiglia sono qui al campo di Usivak, vicino a Sarajevo, da quasi due anni. Con tutte le inevitabili conseguenze problematiche: i bambini come Pegah perdono gli anni di scuola, crescono in luoghi inadatti, sono sottoposti a stress e difficoltà psicologiche enormi dal momento che stanno mesi lontano dalla loro casa e dai loro familiari.
I campi profughi nei Balcani vengono chiamati “Centri di Transito”, ma per tantissimi bambini questo è un transito molto, troppo lento: molti di loro stanno passando periodi molto lunghi della propria infanzia in luoghi come questi.
Caritas cerca, dunque, di essere presente per dare il proprio supporto: al campo di Usivak, ad esempio, ha avviato un’esperienza di “Social Corner”. È stato costruito ed arredato uno spazio nel quale sono proposti dei laboratori, dei corsi di lingua, dei momenti di gioco e insieme vi è la distribuzione di una tazza di tè caldo al giorno. Decine di bambini, giovani ed anche adulti frequentano il Social Corner ogni giorno, ed è proprio qui che abbiamo conosciuto Pegah e la sua storia.
L’avviamento del Social Corner al campo di Usivak è stato reso possibile grazie a una donazione speciale: direttamente il Santo Padre, Papa Francesco, ha deciso di supportare alcuni progetti e iniziative lungo la Rotta Balcanica. Tra questi proprio l’avvio dei Social Corner, in due campi di transito della Bosnia e Erzegovina.
Ora la sfida per Caritas è tenere attivi questi luoghi il piu a lungo possibile, per garantire a Pegah e ai suoi coetanei un angolo di “normalità” in un contesto così problematico per molti bambini.
La campagna “Insieme per gli ultimi” può aiutarci ad offire luoghi e attività come quelli del Social Corner di Usivak per tanto tempo, a tanti bambini come Pegah.