La pace va oltre
di Massimo Pallottino, Caritas Italiana
Viviamo in un tempo tragico ed imprevisto, che pochi di noi avrebbero messo in conto solo pochi mesi fa. Ma imprevedibile non vuol dire imprevisto: i segnali di un mondo già immerso in una ‘Terza guerra mondiale a pezzetti’ erano già presenti da tempo. In fondo è solo questione di occasioni, poiché la crisi divampi in uno oppure in un altro degli scenari più caldi del Pianeta.
Questa volta tutto ci tocca particolarmente solo perché è più vicino a noi. Tuttavia, un bambino in fuga dalla guerra in Ucraina non è troppo diverso da un bambino siriano, afgano o Rohingya in fuga dalla sua casa o dal suo villaggio.
Il periodo che stiamo vivendo ci dice però una cosa nuova: neanche i confini di quella che Limes aveva chiamato ‘Caoslandia’, vale a dire quella parte del mondo dove l’instabilità si manifesta negli ultimi decenni con le sue modalità più detonanti, servono più a proteggere l’illusione di essere esenti da questa guerra a pezzetti. Questa situazione ci rivela con chiarezza ancora maggiore alcune caratteristiche del mondo nel quale viviamo, poiché si innesta nel difficile periodo della pandemia, che negli ultimi due anni ha messo a dura prova le società di tutto il Pianeta; che si innestava – ce lo siamo dimenticato? – in un periodo oscuro di terrorismo e di radicalismi pseudoreligiosi.
Ci troviamo proiettati in un mondo articolato per alleanze militari, un mondo nel quale ci viene presentata l’opzione militare e quella del riarmo come l’unica possibile: un esito inevitabile di un mondo che sta andando in pezzi. La nostra memoria torna alle molte situazioni vissute negli anni passati nella quale l’alternativa militare ci è stata presentata come quella necessaria. Riflettiamo sui miseri risultati di quelle scelte ‘ineluttabili’ e sugli effetti pratici in termini di ulteriore violenza e radicalizzazione del confronto.
La guerra non è mai ineluttabile, è sempre una scelta.
La brutale e ingiustificabile invasione dell’Ucraina si presenta davanti a noi come una svolta nella storia, non possiamo non simpatizzare con chi è stato invaso e sta difendendo la propria casa e la propria terra. Come tutte le guerre, anche questa ci si è presentata come improvvisa e imprevedibile. E come tutte le guerre anche questa non lo è affatto.
Riflettere sulle sue cause e premesse è necessario se si vuole imparare la lezione della Storia. Soprattutto, occorre essere consapevoli che ogni ferita inferta adesso prenderà molto tempo per la sua guarigione. Continuano a morire giovani ucraini e giovani russi, città intere sono rase al suolo, milioni di profughi, soprattutto donne, bambini, persone vulnerabili, persone anziane, sono costretti a lasciare la loro casa e la loro terra. Ed ancora una volta, l’unica vera reazione sembra consistere nell’inviare ancora più armi; senza chiedersi se queste non siano per caso una parte del problema e non la sua soluzione.
L’unica vera opposizione alla guerra non è la guerra, ma la pace, come ha ripetuto anche Papa Francesco con forza in queste settimane.
È necessario intraprendere con molta maggiore determinazione una via di dialogo ed è davvero necessario moltiplicare gli sforzi per arrivare a una soluzione diplomatica. Anche se – sembra banale dirlo – nelle dichiarazioni e negli sviluppi degli ultimi giorni non si supporrebbe che tutti gli attori coinvolti a livello globale la pensino realmente in questo modo. Si tratta di un film già visto, non molto diverso da quanto è avvenuto in Siria e in tante altre martoriate regioni del mondo.
La pace si prepara invece con la giustizia, costruendo società accoglienti e inclusive, lottando contro le disuguaglianze che attraversano tutte le società del Pianeta; a livello internazionale, rilanciando un multilateralismo che invece negli ultimi anni sembra essere sempre più sotto attacco, per molti aspetti proprio ad opera di quei paesi che ora si affrettano a rinforzare i propri sistemi di difesa; peraltro con una prospettiva ancora ben lontana dall’essere realmente comune ed europea: potenti sistemi industriali, ben connessi con il potere politico, si troveranno a beneficiare di attenzioni e investimenti che ben difficilmente possono essere intesi come orientati alla costruzione di un mondo di pace.
Verso quale Pasqua di Resurrezione stiamo camminando?
Quale speranza possiamo nutrire per il futuro?
La costruzione della pace è un processo lungo, che in questo momento storico si presenta come particolarmente frastagliato. È su questo che è necessario ogni sforzo, in particolare delle giovani generazioni: una società pacifica è una società sicura e inclusiva, basata sui diritti e sulla costruzione del Bene comune.
Chi lavora per una società di pace è lontanissimo da una idea di ‘inazione’ o di tolleranza per la gravissima violazione del diritto internazionale verificatasi con l’invasione dell’Ucraina. Chi lavora per una società di pace è impegnato ora sull’accoglienza di chi fugge dall’Ucraina, ma lo era ieri, e lo è ancora, ad accogliere chi fugge dall’Afganistan o dalla Siria; ed è impegnato in ciascuno di questi paesi – e molti altri – nel camminare insieme alle comunità locali per costruire strade di cittadinanza e dignità in società complesse e polarizzate spesso proprio a causa dell’intervento di chi conduce il gioco a livello globale.
Chi fa differenze fra profughi di diverso colore e provenienza e ha magari attivamente operato affinché le differenze si radicassero profondamente nelle leggi del nostro Paese, chi mette in competizione le spese per ‘gli italiani’ con quelle per l’accoglienza e la solidarietà internazionale, non sta lavorando per la Pace.
La pace va oltre, perché deve guardare tutti, e deve guardare lontano. Deve guardare un orizzonte vicino, nel costruire un cammino di fratellanza e prossimità. Deve sapere che le radici delle ingiustizie sono spesso lontane dai nostri occhi.
Si tratta, soprattutto, di prendere coscienza che tutto ciò ci riguarda profondamente. In primo luogo non possiamo tollerare di vedere la dignità umana e i diritti più essenziali violati con la sofferenza di tante sorelle e fratelli in guerre che ci vengono sbattute di fronte agli occhi, in tantissime altre troppo lontane o troppo lunghe per ferire ancora la nostra sensibilità. Nella consapevolezza che per costruire una società di pace occorre partire da lontano e andare lontano.
È l’impegno di tutti per una Pasqua di speranza: cominciare a costruire una ‘pace a pezzetti’, per un mondo dove la guerra non sia più vista come inevitabile, dove si lavora per una società più giusta.
Dove la Vita trionfa ogni giorno sulla Morte.