Le disuguaglianze e i COVID-19
di Andrea Stocchiero, FOCSIV
Yussuf vive con la sua famiglia in un villaggio rurale del Burkina Faso. I genitori anziani, la moglie e i quattro figli, lavorano nei campi. Un po’ alla volta sono venuti a sapere della diffusione del virus e cominciano ad essere preoccupati per la salute propria, dei parenti e degli amici che vivono nel villaggio, che si spostano nelle cittadine vicine per commerciare. Hanno sentito parlare di un nuovo vaccino, ma si chiedono quando e come potranno averlo. Le strade sono in terra battuta e durante la stagione delle piogge diventano impraticabili. Il centro di salute del villaggio è come una piccola farmacia con pochi prodotti. Il medico più vicino è a tre ore di strada e i genitori anziani non hanno possibilità di muoversi. Arriverà prima il virus o il vaccino?
Maria è madre sola con tre bambini e i genitori anziani. Vive in una periferia popolare di Lima in Perù. Lavorava come operaia in una industria locale di catering per le compagnie di trasporto aereo. Con il crollo del traffico aereo, a causa del virus, l’impresa ha dovuto licenziare molto personale e Maria si è trovata sulla strada. Non ha più un salario ed è senza copertura assicurativa. Ora si arrangia lavorando come domestica precaria, con la spada di Damocle della diffusione del virus. E’ informata del nuovo vaccino che dovrebbe essere distribuito anche in Perù, probabilmente non sarà gratuito, e lei non ha soldi per acquistarlo.
Adila viveva a Karachi in Pakistan, in casa del marito, disabile, con i suoceri anziani. Ha perso il lavoro a causa del COVID – 19. Aveva un piccolo chiosco dove produceva e smerciava panini con salse locali per i turisti, che ora non frequentano più il centro della città. Con grande fatica riusciva a sostenere la famiglia, grazie anche all’aiuto di una sorella del marito. Con la perdita del lavoro è stata costretta a tornare nel suo villaggio di origine, con tutta la famiglia, senza “ristori” e aiuti. Nel villaggio non c’è un medico e se mai riuscirà ad andare in una farmacia nel villaggio più vicino, non avrà i soldi per acquistare il vaccino.
Queste tre piccole storie mostrano come le conseguenze del virus e i problemi di accesso ai nuovi vaccini colpiscano le persone più povere, che non sono coperte da sistemi di protezione sociale e che vivono in territori periferici e lontani. Nonostante molti politici a livello internazionale e locale sottolineano che il vaccino deve essere considerato come un bene pubblico globale, a quale tutti devono accedere in modo gratuito. Tuttavia, pochi e insufficienti sono i fatti conseguenti.
Il problema dell’accesso al vaccino è legato alla profonda disuguaglianza finanziaria tra i paesi ricchi e quelli impoveriti. I primi possono fare addirittura a gara nel firmare contratti, segreti, con le case farmaceutiche, per assicurarsi forniture di milioni di dosi di vaccino. Ben il 98% delle dosi disponibili di vaccino anti COVID – 19 si stanno concentrando nelle mani dei paesi più ricchi. Mentre i paesi impoveriti non ne hanno la possibilità e dipendono dal buon cuore delle organizzazioni internazionali e dai rapporti di cooperazione con i paesi donatori.
Inoltre, mentre i paesi ricchi possono accumulare debito per finanziare le maggiori spese sanitarie e di sostegno all’economia domestica, grazie al supporto delle banche centrali, i paesi impoveriti non lo possono fare. Devono continuare a pagare il debito storico e non possono investire nuove risorse nel rafforzare i loro deboli sistemi sanitari.
In tale contesto globale, è importante il ruolo che possono giocare le organizzazioni internazionali delle Nazioni Unite per aiutare i paesi impoveriti, in particolare ora nell’assicurare l’accesso ai vaccini.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha siglato un primo accordo con Pfizer-BionTech per fornire 40 milioni di dosi del loro prodotto ai paesi più svantaggiati, attraverso la linea di finanziamento Covax[1], e ha già esercitato un’opzione per 100 milioni di dosi di vaccino Astrazeneca-Oxford prodotte dall’Istituto Serum in India. Purtroppo, questi numeri sono insignificanti di fronte agli oltre 2 miliardi di persone che vivono nei paesi del Sud senza accedere ai servizi sanitari.
L’aiuto pubblico allo sviluppo che dovrebbe sostenere strumenti come il Covax si sta riducendo[2]. Ad esempio in Italia l’aiuto è diminuito in questi ultimi tre anni e il Governo italiano ha impegnato solo 10 milioni di euro per sostenere la Coalition of Epidemic Preparedness Innovations[3], che a sua volta appoggia la linea di finanziamento Covax. Questo dopo che la stessa Italia ha scoperto l’importanza della cooperazione internazionale, grazie all’opera dei medici inviati dall’Albania a Cuba nel nostro paese, per aiutarci nel periodo peggiore del virus.
Un maggiore impegno di cooperazione internazionale è peraltro indispensabile se si vuole combattere la pandemia. Come ha sottolineato Papa Francesco, nessuno si salva da solo. Il virus continuerà a circolare fino a che non sarà debellato a livello globale.
La disuguaglianza nell’accesso ai vaccini non è solo di carattere finanziario e di potere economico tra gli Stati, ma riguarda le diverse strutture e capacità dei sistemi nazionali. L’accesso al vaccino è più difficile nei paesi impoveriti perché il loro sistema di trasporto e logistico, la lo disponibilità di celle frigorifere per l’immagazzinamento, conservazione e distribuzione, è debole ed insufficiente.
Questa debolezza si sovrappone a quella dei sistemi sanitari nazionali, per la distribuzione e somministrazione della vaccinazione sul campo, nei tanti villaggi e piccole città disperse in vasti territori, dove sono assenti medici e personale infermieristico. Ad esempio in Guinea, Liberia e Sierra Leone – i tre Stati più colpiti dall’emergenza Ebola – la densità dei medici è di 4,5 ogni 100mila abitanti, mentre la media italiana è di circa 376 medici ogni 100mila abitanti.
Altra disuguaglianza è la diversa capacità produttiva di medicinali e di attrezzature medicali. Durante la pandemia è emersa, ad esempio, la dipendenza italiana dalla fornitura estera di mascherine e l’esigenza di mantenere nel Paese alcune produzioni strategiche di beni medicali, come anche lo stesso vaccino. Questo è ad oggi impossibile nei paesi impoveriti, dove manca una men che minima industrializzazione del settore sanitario. Tutto dipende da costose importazioni dall’estero e, ancora una volta, dall’aiuto dei paesi più ricchi.
La debolezza della capacità di produzione locale, si deve anche alla progressiva concentrazione della ricerca e dello sviluppo dei beni per la salute in grandi imprese oligopolistiche sul mercato internazionale.
La cosiddetta “Big Pharma” comprende grandi multinazionali, che nel tempo hanno comprato le imprese presenti in diverse nazioni, accentrando il potere tecnico, produttivo, finanziario e decisionale. Oggi gli Stati devono trattare con loro per avere accesso al vaccino, in parte finanziandole con denaro pubblico. Il potere di Big Pharma è ancora più evidente con la corsa dei governi nazionali a concorrere tra di loro per avere i migliori contratti, più vaccini a minor prezzo. Le divisione nazionalistiche indeboliscono ancor più gli Stati, mentre accrescono il potere di Big Pharma. I paesi impoveriti non possono partecipare a questa corsa. Sono fuori dal mercato.
A tutto questo, si deve aggiungere la difficoltà di ottenere le licenze di produzione per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale sui vaccini. Qualora i paesi impoveriti avessero capacità produttiva, si troverebbero a dover negoziare il pagamento dell’utilizzo dei brevetti, su un prodotto che retoricamente viene riconosciuto come bene pubblico globale. Alcuni paesi emergenti come l’India e il Sudafrica hanno la possibilità di produrre in casa i vaccini, infatti viene da loro la proposta di un’immediata moratoria per l’utilizzo dei brevetti sui vaccini e per i farmaci anti-Coronavirus.
Per cercare di superare questo problema è importante firmare e sostenere la petizione europea ICE www.noprofitonpandemic.euit per la raccolta di un milione di firme, delle quali almeno 180.000 in Italia.
Secondo questa petizione l’Italia e l’UE dovrebbero nell’immediato ricorrere alle licenze obbligatorie, una clausola di salvaguardia prevista dagli accordi sulla proprietà intellettuale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (gli accordi TRIPs), che autorizza gli Stati, in una situazione di pandemia e di difficoltà economica, a produrre direttamente i farmaci salva-vita come farmaci generici, scavalcando i brevetti, a rivendicare i brevetti finanziati coi soldi dei cittadini siano pubblici e che quindi i vaccini vengano considerati un bene comune. Questa possibilità dovrebbe essere a maggior ragione riconosciuta ai paesi più poveri.
Tutto ciò rimanda alla questione fondamentale dell’ingiustizia sociale globale, che deriva dalla crescente concentrazione di potere tecnico, economico e finanziario, nelle mani di in un piccolo gruppo di grandi multinazionali.
È il paradigma tecno-economico indicato da Papa Francesco nella Laudato Sì. E’ un problema di democrazia internazionale. Sono gli Stati ed un sistema di organizzazioni regionali e internazionali legittimate da popoli liberi, che dovrebbero detenere Il potere di promuovere condizioni di vita migliori per tutti/e. Ovviamente la questione non è semplice. E’ necessario che gli Stati accrescano la capacità di regolazione internazionale e di mobilitazione finanziaria per sostenere i sistemi sanitari pubblici e la crescita di imprese nel settore della salute anche nei paesi impoveriti. Questo non dovrebbe essere concepito come assistenza o come una elemosina. Il diritto alla vita è alla base della convivenza umana di tutti.
Adila, Maria e Yussuf potranno aver riconosciuto il loro diritto ad una vita dignitosa, in buona salute, se un sistema più giusto sarà istituito. Questo dipende da tutti noi. Dalla nostra capacità di incidere nelle scelte di chi ci rappresenta, dalla nostra capacità di organizzarci e di agire con i movimenti popolari che sostengono il diritto alla vita nei diversi paesi del Sud del mondo.
[1] Covax, da Gavi – The vaccine Alliance
[2] Aiuti allo sviluppo, Italia maglia nera con – 21% negli stanziamenti