L’ecologia integrale del coronavirus – Siamo sulla stessa barca
Massimo Pallottino, Caritas Italiana, e Andrea Stocchiero, FOCSIV
Introduzione
Il contagio del Covid-19 si sta diffondendo in tutti i paesi, in tutto il mondo, anche nelle aree più remote come le foreste amazzoniche, diventando così una vera e propria pandemia. Ma non si tratta di un fenomeno che nasce dal nulla.L’approccio dell’ecologia integrale promosso da Papa Francesco con la Laudato Sì (LS)[1] ci può aiutare a capire le cause, le conseguenze, le questioni in gioco, a partire dall’assunto per cui “tutto è interconnesso” (LS, 16 e 117). Non possiamo capire la pandemia e suoi effetti sull’uomo se non cerchiamo di analizzare il sistema di relazioni che legano l’emergenza sanitaria alle questioni ambientali, sociali, economiche e politiche.
La pandemia ha delle cause ben precise. La scienza ci ha mostrato come il passaggio del virus Covid-19 dagli animali all’uomo, la cosiddetta zoonosi, sia legata al degrado dell’eco-sistema, e come forse abbia maggiori effetti con l’inquinamento. Dietro alla pandemia vi sono dunque le condizioni del nostro pianeta, e un sistema economico che si esprime attraverso meccanismi ben visibili attorno a noi, che violentano la natura, la uccidono e la invadono. La pandemia dunque è effetto di scelte concrete: di politiche degli Stati e di comportamenti insostenibili da parte di imprese e consumatori, che rischiano di portare alla scomparsa dello stesso genere umano, di inazione colpevole di fronte a urgenze ormai non più differibili. La responsabilità di ognuno è sollecitata direttamente: non solo quando ci troviamo nella posizione di poter influenzare con le nostre decisioni il corso degli eventi, ma anche in quanto semplici consumatori, chiamati ad effettuare le nostre scelte in una prospettiva di attenzione a una dimensione di sobrietà e di rispetto nei riguardi della dignità umana e del pianeta[2].
I fenomeni che stiamo vivendo, la diffusione della pandemia, la riduzione della biodiversità, ma anche Il cambiamento climatico ci mostrano un dato di fatto inoppugnabile: siamo tutti sulla stessa barca. Tutti possiamo essere colpiti. Tutti siamo in pericolo, essendo noi stessi cause di questo pericolo.
La situazione che viviamo mette in luce e amplifica i punti deboli del sistema economico, sociale e politico, esacerbando le diseguaglianze, l’esclusione sociale, i fenomeni per cui si producono dei veri e propri ‘scarti umani’. Ha degli effetti ben precisi e colpisce tutti, ma ha un impatto maggiore sulla popolazione vulnerabile, come gli anziani, e su chi è più esposto al virus perché ha più difficoltà ad isolarsi e a proteggersi: i senza tetto, gli abitanti delle periferie (spesso costretti a vivere in condizioni di affollamento e promiscuità), le persone abbandonate da sistemi sanitari inefficaci o indeboliti da decenni di politiche di austerità, spesso piegati a logiche di profitto per pochi piuttosto che orientati al bene comune. E in un mondo che è un villaggio, la pandemia raggiunge tutti, come i popoli indigeni, che sono ancora più vulnerabili ed esposti, riproducendo nel nostro tempo una delle cause storiche del genocidio coloniale. Siamo sulla stessa barca ma pochi stanno nella plancia di comando e nelle cabine di lusso, molti nelle stive.
Le vicende legate al COVID19 sta avendo un effetto gravissimo sulla situazione della fame in tutto il pianeta; molti paesi del ‘sud globale’ si trovano in condizioni particolarmente vulnerabili. La pandemia (e le misure di contenimento, spesso poco preparate) provocano la perdita del lavoro e la riduzione della capacità di acquisto di generi indispensabili per la vita quotidiana, l’accesso ai mercati viene ridotto per l’assenza di efficaci misure di controllo sanitario, i contadini e i commercianti locali sono costretti a ridurre la loro mobilità per rifornire i mercati. Alla già tragica conta diffusa annualmente dalla FAO che vede ormai da 4 anni aumentare il numero di coloro che soffrono la fame[3], si aggiungono le stime ancora preliminari degli impatti della pandemia sullo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo: secondo il WPF a causa della pandemia 135 milioni di persone in più si troveranno in una situazione di fame acuta portandone il totale a 265 milioni: un aumento di quasi il 100% ascrivibile alla diffusione del COVID19 (e alle misure di contenimento messe in atto in vari paesi)![4]
L’impatto della pandemia deve essere quindi analizzato nelle diverse dimensioni dell’ecologia integrale, tra loro interconnesse: le dimensioni ambientali, economiche e sociali, politiche, antropologiche e spirituali. Dimensioni che rimandano anche ad un altro approccio: quello dell’Agenda 2030 sugli obiettivi dello sviluppo sostenibile[5] che intreccia ambiente, economia e società. Anche questa Agenda delle Nazioni Unite chiede una visione olistica e di sistema: la pandemia non è nata per caso ma è una conseguenza del nostro antropocentrismo.
La casa comune e un modello di sviluppo che degrada l’ecosistema
Come si è scritto la pandemia ha la sua causa principale nel degrado dell’ecosistema. L’ecologia integrale ci indica come sia un modello di sviluppo, il paradigma tecno-economico-finanziario di carattere estrattivista, la causa di quello che per i credenti è il peccato ecologico. I meccanismi di ingiustizia, quelli che Giovanni Paolo II ha definito ‘strutture di peccato’[6] minacciano allo stesso tempo l’uomo e la natura. Il paradigma estrattivista concepisce l’uomo come padrone e dominatore della natura. Una natura da sfruttare senza limiti. Da soggiogare e piegare alla volontà di potenza dell’uomo. Ma tutto ciò gli si ritorce contro, perché i limiti esistono e sono sempre più evidenti: le foreste e la biodiversità scompaiono, l’aria e la terra sono sempre più inquinate e muoiono, l’uomo muore, mentre aumenta il divario tra chi ha tutto e chi non ha neanche il necessario per sopravvivere. Il pianeta è la nostra casa comune, è la nostra barca da proteggere, non da distruggere; e chi si è assicurato un posto sulla plancia di comando non sopravvivrà a lungo quando le stive saranno riempite dall’acqua…
Particolarmente grave è la perdita di biodiversità “…a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi.” (LS, 32). E’ con la perdita e il degrado di biodiversità che si creano le condizioni per il passaggio dei virus dagli animali all’uomo. La biodiversità va quindi protetta per mantenere l’equilibrio degli ecosistemi (LS, 34 e 37).
E’ dunque un modello di sviluppo profondamente contraddittorio: fondato sulla promessa del benessere e sul consumo libero per tutti, mina intanto i fondamenti stessi delle nostra sopravvivenza e dell’ecosistema, a vantaggio di pochi che erigono i propri fortini lussuosi di illusoria felicità.
Dimensione sociale ed economica
Si tratta infatti di un modello di sviluppo che esclude, produce scarti umani: poveri, anziani, lavoratori, donne, bambini, migranti, popoli indigeni. Il degrado dell’ecosistema è insieme degrado sociale: gli scarti sono le principali vittime di questo sistema e quindi anche della pandemia: coloro che hanno maggiori difficoltà ad accedere alle cure necessarie, ma anche coloro che sono maggiormente colpiti dalle misure di lockdown adottate (spesso in modo improvviso, e senza pensare a opportune reti di protezione). Come può infatti chi basa la propria sopravvivenza sul guadagno della giornata permettersi di rimanere in attesa? Chi può dare priorità alla protezione dal contagio rispetto al vedere la propria famiglia che giorno dopo giorno perde ogni mezzo di sussistenza? In molte periferie di città gli effetti si sommano l’uno all’altro: al contagio diffuso a causa delle scarse misure di prevenzione e a causa del necessario movimento di chi deve procurarsi il minimo per sopravvivere, si uniscono i tragici effetti della malattia.
Se gli effetti nelle città sono particolarmente importanti per i più poveri, è a partire dalle campagne che rischia di verificarsi una crisi ancora più ampia. Agli effetti dell’isolamento e alla difficoltà di procurarsi quanto necessario per vivere è in qualche caso possibile offrire una risposta attraverso l’autoproduzione e l’autoconsumo. Il rallentamento delle attività produttive rischia però di innescare una spirale di carenza di cibo che potrebbe avere ripercussioni di maggiore durata.
In tutto questo, laddove le istituzioni e i servizi pubblici sono più fragili, sono proprio i poveri a pagare i ‘costi diretti’ più alti anche sotto altri profili. L’assenza di sistemi di protezione sociale espone chi non ha ‘riserve’ a un impatto devastante; laddove i sistemi sanitari sono messi a dura prova, sono ovviamente i più poveri a trovare i maggiori ostacoli nell’accedere a cure efficaci se necessarie; e nel caso dei sistemi scolastici, sono i bambini delle famiglie più vulnerabili a pagare il prezzo maggiore, proprio coloro che prima della pandemia facevano più fatica a integrarsi in un percorso scolastico.
Dimensione politica
Gli effetti della pandemia sui più poveri devono però essere visti in un contesto più ampio, in rapporto con le disuguaglianze, che già rappresentano uno dei tratti fondamentali del mondo in cui viviamo. La forbice tra i più ricchi e i più poveri è in una certa misura il fattore alla base dei peggiori effetti della pandemia (basterebbe confrontare questi ultimi con le statistiche relative alla disuguaglianza per riconoscere come le società meno diseguali sono quelle che sono state in grado di limitare i danni). Ma sono proprio le disuguaglianze a uscire rafforzate dagli eventi di questi ultimi mesi: chi gode di una posizione favorevole sotto il profilo sociale e politico sta vedendo questa posizione rafforzarsi, mentre chi viveva situazioni di fragilità sta vedendo questa fragilità aumentare.
Le disuguaglianze non sono frutto del caso, o della sorte. Sono invece la conseguenza di scelte concrete, di processi politici che escludono i più poveri in un curioso paradosso, per cui leaders “forti” eletti con il supporto delle fasce più povere della popolazione espongono queste ultime agli effetti peggiori della pandemia. Scelte politiche che in questi ultimi 40 anni hanno ridotto il sistema pubblico sanitario e sociale di protezione, a favore di opzioni basate sul libero mercato . E proprio questa fase storica ci mostra con chiarezza che il mercato da solo non è in grado di assicurare i beni e i servizi necessari ad assicurare la dignità di ognuno.
Le disuguaglianze e l’esclusione sono anche alla radice di una maggiore conflittualità sociale. Con il loro aumento apriamo la strada ad un mondo di conflitti e di contrapposizioni. La reazione alla pandemia in molti paesi del mondo è stata improntata ad un aumento del controllo, ad un concetto ‘poliziesco’ della sicurezza’, riducendo libertà e diritti. E’ necessario invece offrire delle risposte basate sul dialogo, sulla mediazione, sulla partecipazione.
Dimensione culturale, antropologica e spirituale
Il peccato ecologico quale causa della pandemia ha un fondamento antropologico. La Laudato Si’ ci indica come l’uomo si sia fatto portatore di “…un antropocentrismo dispotico che non si interessa delle altre creature.” (LS, 68). L’antropocentrismo moderno eccessivo e deviato sminuisce il valore del mondo e in fondo della stessa umanità (LS, 115). L’uomo non è proprietario della natura ma ne deve essere responsabile “Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché « al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà» (Sal 148,5b-6)”. (LS, 68).
L’uomo non ascolta e non opera un discernimento nella relazione con ciò che lo circonda, sorella acqua e fratello sole. Non ascolta ciò che lo trascende. Non nutre il rapporto con il divino e il sacro. L’uomo viene attratto e fagocitato delle chimere del consumismo compulsivo creato dal mercato (LS, 203), e si fa indifferente e quindi lontano dagli altri e dalla natura (LS, 25, 92). La pandemia del Covid-19 è in fondo effetto della pandemia dell’indifferenza.
Un’altra malattia dello spirito che nutre il paradigma del peccato ecologico è la ‘rapidizzazione’ ,vale a dire il diffondersi di un modello di cambiamento accelerato e intensificato, fine a sé stesso o con “…obiettivi […] non necessariamente […] orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale.” (LS, 18). L’uomo è ad un tempo sia fautore che vittima di un paradigma di cambiamento insostenibile.
Di fronte a queste derive spirituali e culturali la pandemia del Covid-19 può essere una occasione per decelerare e discernere un migliore rapporto dell’uomo con la natura, con sé stesso e i suoi simili, con Dio. Occorre recuperare spazi e tempi per la contemplazione, per riorientare la nostra vita liberandosi dal paradigma tecnocratico, per riconoscere Dio nelle altre creature (LS, 85, 112, 233).
La pandemia ci ha fatto già riscoprire la bellezza della comunità e della solidarietà. In un contesto in cui i sistemi sanitari sono stati posti a dura prova, si sono moltiplicate le iniziative dal basso di persone e associazioni della società civile che si sono prese carico della responsabilità dell’Altro. Questa può essere la rinascita di un uomo in pace con sé stesso, la natura e Dio.
Una chiamata all’azione
La grave situazione che stiamo vivendo interpella personalmente ognuno di noi, nella nostra responsabilità, e nella nostra capacità di vivere in modo consapevole. Da tale urgenza è necessario partire, perché la costruzione di un mondo più giusto, accogliente e quindi sicuro per tutti, è questione che ci riguarda, nessuno escluso.
L’impegno necessario parte da un cambiamento degli stili di vita di ognuno di noi, ma deve proseguire con la promozione di azioni piene di significato, e con una efficace azione nei riguardi di chi ha la responsabilità di stabilire le regole e fissare le politiche pubbliche, orientando anche le scelte di mercato.
Non sarà solo col distanziamento sociale o risparmiando sulla plastica che cambieremo il mondo; e forse neanche solo promuovendo un’azione di comunità; e probabilmente neanche solo grazie al nostro impegno nell’influenzare i decisori politici. Probabilmente sarà grazie a tutte queste cose insieme, in una visione integrale e collettiva: nessun cambiamento ha una prospettiva se non viene assunto dalle singole persone; ma nessuna sensibilità si può diffondere se non si riconosce la possibilità di un’alternativa in azioni promosse da un gruppo, da una comunità, in un quartiere. Allo stesso tempo un cambiamento strutturale ha bisogno di una presa in carico da parte dei decisori politici. La base di tutto ciò è sentirsi parte della famiglia umana, e l’urgenza di un cambiamento per un mondo più giusto e sostenibile.
Questa campagna offre la possibilità di un impegno concreto, al servizio di progetti di giustizia e di autentica promozione umana. Condividere il pane, moltiplicare la speranza è possibile attraverso la nostra donazione in sostegno degli interventi proposti dagli organismi promotori.
[1] Lettera Enciclica Laudato Si’ del Santo Padre Francesco sulla Cura della Casa Comune. (LS)
[2] Lettera Enciclica Caritas In Veritate, del Sommo Pontefice Benedetto XVI (CiV) No. 66
[3] Valutati in 821 milioni su dati del 2018, in costante aumento dal 2015 (dati FAO).
[4] Vedi link
[5] Vedi link
[6] Lettera Enciclica Sollicitudo Rei Socialis (1987)