Tra l’incudine e il martello: rifugiati in cerca di pace
Quando pensiamo a situazioni caratterizzate da conflitti e crisi umanitarie, ci abituiamo a pensare a queste come affette da ‘emergenza permanente’; situazioni nelle quali siamo sollecitati a una non meglio precisata attenzione umanitaria, ma della quale facciamo fatica a distinguere precisamente i tratti. Ciò, ad esempio, si può applicare bene all’insieme di questioni che circondano la guerra in Siria così come alla situazione del Libano, Paese che vive da anni una profonda crisi politico istituzionale: un territorio che da secoli è al tempo stesso un mosaico di popoli caratterizzati da diverse culture, identità, religioni, spesso capaci di trovare forme di convivenza pacifica e, in altri casi, trascinati in tensioni e conflitti.
Le notizie su questi Paesi filtrano con difficoltà e sono poco visibili sui nostri media. Forse ci sembra ormai quasi normale che in una terra come il Libano, che conta 6,8 milioni di abitanti vivano 1,5-2 milioni di rifugiati. È come se l’Italia dovesse farsi carico di 15 o 20 milioni di persone in fuga da guerre e povertà. Con buona pace di chi grida all’emergenza e alla paura 2dell’invasione”, con numeri che neanche lontanamente paragonabili a quelli libanesi. Secondo il Ministero dell’Interno al 31 dicembre 2021 in Italia erano presenti circa 148.000 richiedenti asilo e circa 102.000 rifugiati.
Quelli del Libano sono numeri davvero impressionanti, in un Paese in crisi a tutti i livelli: incapace di eleggere un Presidente negli ultimi sei mesi, dove a causa del peggioramento delle condizioni economiche e sociali la crisi spinge sempre più giovani ad emigrare. E dove il peso dei rifugiati diventa sempre più difficile da sostenere. Una facile bandiera da agitare in una situazione sociale e politica ormai del tutto sfilacciata. Il veloce aumento dei prezzi, che secondo i dati ufficiali ha raggiunto il 190% lo scorso febbraio con picchi del 260% solo per i generi alimentari, spinge masse crescenti al limite della sussistenza. La sterlina libanese ha perso il 98% del suo valore rispetto al dollaro statunitense e oggi otto libanesi su dieci vivono al di sotto della soglia di povertà.
Molti dei siriani fuggiti dal proprio Paese a causa della guerra e molti dei quali si sono rifugiati in Libano, dove ancora hanno paura di tornare nella propria terra ancora molto insicura. Non sono state dimenticate le decine di migliaia di sparizioni forzate, mentre per molti è reale il pericolo di un arresto e rimane viva la paura di un possibile richiamo nell’esercito per combattere un conflitto a minore intensità, ma sempre attivo in diverse aree della terra siriana. La riammissione del Presidente siriano Bashar al-Assad nella Lega Araba segna però un contesto internazionale in evoluzione: la paziente opera di ricucitura da parte del Regime, grazie il recente terremoto è stata l’occasione preziosa per rompere l’isolamento internazionale.
Il destino dei rifugiati è, dunque, solo un elemento di un gioco ben più complesso che con il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita si segna una tappa fondamentale, di fatto si consolida un nuovo equilibrio, con un percorso che trova un ulteriore tassello importante nella riunione dei Ministri degli Esteri dei paesi della regione, tenutasi ad Amman il primo maggio.
In Libano, il sentimento di rifiuto nei riguardi dei rifugiati siriani cresce accompagnato dall’immancabile campagna di stampa, che ha buon gioco nello sfruttare anche le leve identitarie e religiose. Il Governo si prepara a un giro di vite con un censimento della popolazione di rifugiati negli oltre 4000 siti dove questi vivono, con la prospettiva di avviare un processo di rientro nella loro terra. Anche l’atteggiamento nei riguardi dei numerosissimi rifugiati senza documenti sta cambiando rapidamente, non mancano voci di vere e proprie deportazioni di queste persone in violazione a precise, anche se non troppo applicate, normative internazionali. Ancora una volta la più che giustificabile esasperazione delle comunità libanesi, ormai allo stremo, innesca l’ennesima guerra tra poveri, tra chi non sa dove trovare altro rifugio. Ed è lo stesso regime siriano che non saprebbe in grado sul come gestire il rientro di centinaia di migliaia di persone, in un Paese che in oltre un decennio di guerra vive un livello di distruzione senza precedenti ed è colpito dagli effetti più nefasti della crisi climatica e della desertificazione.
È in questo momento che occorre rinforzare attenzione e vigilanza. Coloro che sono riusciti a sfuggire agli orrori della guerra in Siria rischiano di diventare l’ennesima vittima collaterale di un riassestamento: le comunità libanesi sono condotte a pensare che siano i profughi la causa principale di tensioni che hanno ben altre radici. Una pace giusta e duratura dovrà tenere dentro tutto questo.